#: locale=it ## Tour ### Description tour.description = Visita virtuale di Bellinzona ### Title tour.name = Be-Teatro ## Skin ### Button Button_1C6A48DF_06A8_50E2_4178_0BA2038DC003.label = Panoramica iniziale Button_6CE61516_7EF9_9C47_41DB_822C17AF740C.label = Cartina Si/No Button_C374C3D4_E000_E780_41EB_AD01E7BA5CF4.label = Hotspots Si/No Button_C6DB0443_DE7D_70F4_41B2_5B861747AB85.label = Ritorno alla visita virtuale Button_FDA261F4_D2F7_AB7F_41E8_30F0002ECA29.label = Info ### Multiline Text HTMLText_00E68E40_39CA_C4C2_41C1_A327D42B4C19.html =
Biblioteca e Archivio cantonali




La sede della Biblioteca, Palazzo Franscini, è stata inaugurata nel 1999. L'edificio è stato progettato dall'architetto Luca Ortelli. Vi si trovano, oltre alla Biblioteca cantonale di Bellinzona, l'Archivio di Stato, il Centro di dialettologia e di etnografia, l'Ufficio dei beni culturali e la direzione della Divisione della cultura e degli studi universitari.


Palazzo Franscini riunisce in uno stesso luogo istituti cantonali che si occupano di attività culturali e, in particolare, di informazione documentaria e di lettura. E' dunque un polo di informazione documentaria con diversi contenuti, chiaramente identificabile ed accessibile ad un pubblico potenzialmente molto ampio (vedi l'articolo di Luca Ortelli, che documenta la realizzazione del progetto, in: Casabella 666 [Aprile 1999]).


Storia della biblioteca
La storia di questa biblioteca è legata a quella della Scuola cantonale di commercio. Il fondo librario da cui è partita l'impostazione della biblioteca pubblica è quello costituito tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 dal Segretario del Dipartimento della Pubblica Educazione Giacomo Bontempi, che lo descrisse nel Catalogo della Biblioteca annessa alla Scuola Cantonale di Commercio in Bellinzona, pubblicato nel 1912.


Il recupero dei fondi librari fu avviato nella seconda metà degli anni Sessanta, in concomitanza con la realizzazione del Liceo economico di Bellinzona. Cominciò allora a maturare l'idea di riaprire la biblioteca al pubblico.


Nel 1982 i fondi librari della Biblioteca della Scuola cantonale di commercio furono trasferiti nello Stabile Torretta, da poco abbandonato dai militari. È questo l'atto che segnò l'avvio dell'attività della "Biblioteca pubblica cantonale" di Bellinzona. L'istituto diventò Biblioteca Regionale nel 1987 e Biblioteca cantonale con la Legge delle biblioteche nel 1991.


Caduto nel 1979 un progetto di centro culturale, si impose l'idea di riunire Biblioteca, Archivio di Stato e altri istituti in un unico edificio. Il bando per il concorso di architettura, pubblicato nel 1988, chiedeva ai progettisti di assicurare una corretta integrazione dei servizi documentari e informativi di Archivio e Biblioteca pur nel rispetto delle rispettive autonomie. Questa esigenza è assai evidente nel nuovo edificio realizzato dall'architetto Luca Ortelli, vincitore del concorso di architettura, in cui la Biblioteca cantonale, con altri istituti, si è trasferita definitivamente nel 1999.


Nel giugno del 2005 la Biblioteca cantonale di Bellinzona, unitamente al Servizio archivi locali e al Repertorio toponomastico ticinese (Archivio di Stato), è stato il primo istituto culturale in assoluto in Svizzera ad aver adottato il sistema di gestione per la qualità ISO 9001:2000 e ad aver ottenuto la certificazione internazionale di qualità rilasciata da un ente esterno neutrale ed accreditato dall'Ufficio federale di metrologia (Metas). La procedura in vigore dal 2005 è terminata a giugno 2020.



Fonte: https://www.sbt.ti.ch/bcb (06.12.2020)










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Tribunale penale federale


Eretto nel 1894-1895 dall’impresario Emilio Donati con la collaborazione dell’architetto Maurizio Conti, fu sede della Scuola cantonale di commercio e delle Scuole di disegno.


Fra il 1900 e il 1910 l’originale pianta a ferro di cavallo fu modificata con l’aggiunta di un’ala. Nell’ottobre del 2013 lo stabile divenne la sede definitiva del Tribunale penale federale.


All’interno vi sono due aule: nella più grande si svolgono di regola i processi che richiedono un collegio giudicante di tre giudici e la presenza di diversi accusati. In quella più piccola si svolgono quelli a giudice unico o con un solo accusato.


La Corte penale decide in prima istanza su crimini e delitti contro gli interessi della Confederazione, casi di criminalità economica e organizzata e riciclaggio di denaro con implicazioni intercantonali o internazionali. Lo stabile ospita anche una sala stampa, una caffetteria e una biblioteca.


Sulle pareti della caffetteria spicca un dipinto di Giuseppe Bolzani (1921-2002), intitolato Le attività umane. Fu commissionato dal Cantone nel 1951 per decorare l'aula magna della Scuola cantonale di commercio. Il dipinto scorre su tre pareti e rappresenta diverse professioni.


Vi appaiono dattilografe, pescatori, contadini, scultori, un chimico, un saldatore e persino un brontosauro, simbolo del tempo e della storia.


Ripulito e parzialmente restaurato, il dipinto valorizza l'antica aula magna, ora luminosa caffetteria del Tribunale.



Fonte: “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.





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Teatro sociale



Il Teatro Sociale, progettato dall’architetto milanese Giacomo Moraglia e costruito nel 1847 dall'ingegner Rocco von Mentlen.


Annoverato tra le più significative testimonianze di architettura tardo-neoclassica nel Cantone Ticino, è stato definito «uno dei rari esempi di teatro all’italiana esistenti in Svizzera».


L’edificio ha un aspetto sobrio ed elegante: il primo ordine della facciata ha cinque porte, tre delle quali con arco a tutto sesto. Il secondo, invece, è ornato da quattro lesene di granito, coronate da un frontone.


Dal vestibolo, attraverso uno stretto corridoio, si accede alla platea disposta a ferro di cavallo con due ordini di palchi e un loggione.


Parzialmente ristrutturato nel 1894 e nel 1919, fu trasformato in cinematografo nel 1951.
Dopo un ventennio il cinema chiuse i battenti e l’edificio rimase abbandonato sino al 1993, anno nel quale gli architetti Giancarlo e Pia Durisch procedettero al suo restauro.


Nell'aprile del 1997 il sipario del Teatro Sociale tornò ad alzarsi. Oggi è un centro musicale e teatrale molto noto.


Fonte:
Estratto dal testo “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.



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Chiesa di S.Biagio



La chiesa di San Biagio è un monumento nazionale d’inestimabile valore.
Eretta a Ravecchia nella seconda metà del tredicesimo secolo, è nota per l’eleganza delle sue forme architettoniche e per la preziosa veste pittorica. Oggetto di vari interventi in epoca barocca, fu rinnovata nel 1890. Una ventina d’anni dopo la neo costituita Commissione Cantonale dei Monumenti stilò un elenco dei manufatti da restaurare, collocando al primo posto la chiesa di San Biagio. Svolte le prime indagini fra il 1910 e il 1912, cominciarono i lavori di restauro su progetto di Silvio Soldati. Li diresse il pittore Edoardo Berta, coadiuvato da Arturo Ortelli. Recentemente l’edificio è stato sottoposto a un nuovo intervento diretto dall'architetto Gabriele Geronzi. Tra i lavori eseguiti, il restauro degli affreschi, il rifacimento delle stuccature, la pulizia degli intonaci, il risanamento di crepe e fessure e la rimozione della gommalacca stesa sugli affreschi del coro. Il disturbo visivo causato dalle martellinature sui dipinti è stato attenuato mediante un ritocco senza stuccatura. Sono stati restaurati anche il pavimento, le balaustre, gli altari, il fonte battesimale e l’acquasantiera. Il vecchio impianto di riscaldamento è stato sostituito da serpentine che distribuiscono il calore in modo omogeneo, secondo un sistema regolabile a zone. L’impianto elettrico è stato messo a norma: piccoli proiettori cilindrici muniti di LED irradiano fasci di luce che illuminano le navate, mentre l’illuminazione delle absidi è garantita da fari di piccole dimensioni. Anche l’impianto acustico è stato rinnovato, misura questa molto importante per una chiesa che negli ultimi decenni ha ospitato concerti con un notevole seguito di pubblico.
Il campanile quadrangolare risale al quindicesimo secolo. Nella facciata a capanna si aprono due finestre, l’occhio del timpano e il portale. Un affresco raffigurante la Vergine col Bambino e i Santi Pietro e Biagio decora la lunetta, mentre nel riquadro superiore spicca un’Annunciazione col Cristo benedicente. Accanto al portale un gigantesco San Cristoforo, opera di pittore ignoto, regge il Bambino. L’interno della chiesa è suddiviso in tre navate separate da archi poggiati su pilastri in muratura. Sull’arco trionfale vi è un affresco del 1340 circa, opera del cosiddetto maestro di Sant’Abondio [sic]. Mostra la Vergine della Misericordia che accoglie i fedeli sotto un manto sorretto dagli angeli. La navata meridionale è decorata con figure di santi e di martiri. Santa Veronica regge il sudario con l’immagine del volto di Cristo. Accanto a lei Santa Apollonia viene torturata da due aguzzini armati di tenaglie. Altri martiri sono raffigurati sui pilastri. Nel primo Sant’Agata regge con la mano destra la mammella recisale durante il martirio. Nel secondo appare la macabra visione di un San Bartolomeo che brandisce il coltello con quale fu scuoiato. Dalla spalla sinistra pendono la pelle del suo corpo e del viso barbuto. Questi dipinti sono attribuiti ad artisti di bottega seregnese. Sopra il portale d’ingresso spicca un affresco raffigurante la Vergine in trono fra i Santi Lorenzo, Giovanni Battista, Antonio Abate e Caterina. Nella navata settentrionale vi è uno “strappo” del quindicesimo secolo raffigurante la Deposizione. Degna di nota l’acquasantiera di granito, attribuita ad artisti locali del sedicesimo secolo. Da segnalare alcune opere dello scultore Remo Rossi: il bassorilievo nell’altare del coro, raffigurante Cristo fra gli apostoli, e alcuni arredi bronzei, come il tabernacolo, il crocifisso, sei candelabri, il coperchio del fonte battesimale e l’acquasantiera accanto alla porta laterale.


La chiesa di San Biagio è aperta al pubblico sette giorni su sette, dalle 9.00 alle 17.00. Per visite fuori orario, organizzazione di eventi e concerti: 079 235 20 86, segreteria@parrocchiasanbiagio.ch. Informazioni: www.parrocchiasanbiagio.ch.



Fonte:
Estratto dal testo “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.






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Monumento a Rinaldo Simen



Inaugurato il 6 maggio 1932, è dedicato all’uomo politico Rinaldo Simen (sua la testa di bronzo), fermo presidente liberale del Governo nel periodo caldo (1893-1905) e poi membro del Consiglio degli Stati.


Si distinse per la sua attenzione nei confronti della gioventù sostenendo l’educazione popolare e le attività sportive.



Fonte: Paolo German



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Officina delle FFS



La nascita dell’Officina delle FFS risale agli albori della Ferrovia del Gottardo, subito dopo il traforo della galleria. È dunque nel 1884 che “l’Atelier principale della Gotthardbahn” fu assegnato a Bellinzona.


La struttura era fortemente voluta da tutto il Cantone, in particolare da Bellinzona, che fece diverse concessioni alla società ferroviaria, sia finanziarie, sia organizzative e politiche.


Da allora l’Officina, nel frattempo diventata una delle Officine delle FFS, ha dato un grande contributo all’economia ticinese, sia come datore di lavoro, sia come formatrice di apprendisti.


Le vicissitudini non sono mancate. Nel 2008 la direzione delle FFS annunciò di voler privatizzare la manutenzione dei vagoni e di dislocare oltre Gottardo quella delle locomotive. Questa decisione sollevò una forte reazione e, al motto “Giù le mani dall’Officina”, tutto il Cantone si associò agli oltre 400 impiegati che avrebbero perso il posto di lavoro. Ne seguì uno sciopero che, sempre col sostegno popolare, fece piegare la direzione delle FFS.


Ora la storica Officina, come e dove la conosciamo, ha i giorni contati. Infatti, fra alcuni anni sarà trasferita sul territorio di Arbedo-Castione e lo spazio che occupa ora sarà “riqualificato”.
La pianificazione del nuovo comparto, la cui realizzazione avverrà a tappe a partire dal 2026 - in concomitanza con lo spostamento dell’impianto industriale nella nuova sede - comprenderà anche un “Parco dell’innovazione”.



A.F







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Quartiere e chiesa di San Giovanni




Abitato originariamente da ferrovieri, forma una sorta di quadrilatero il cui perimetro è costituito dalle vie Ludovico il Moro, Cancelliere Molo e San Giovanni.


Nel libro Vecchia Bellinzona Enrico Talamona scrive: «Tutto il quartiere San Giovanni era costituito dal prato “dei Verzasca”, dato che i Verzaschesi erano i titolari della casa colonica esistente a lato della Chiesa di San Giovanni, di proprietà della famiglia Bonzanigo […] In San Giovanni, ai tempi della mia fanciullezza, si celebrava la Messa solamente la domenica. Officiante era il canonico Mariotti, altro casato patrizio bellinzonese».*


Il quartiere San Giovanni, creato a cavaliere fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, fu la prima area bellinzonese di espansione urbanistica.


Nel 1908 al numero 7 di Via San Giovanni, nel giardino dell’allora Birraria Paolo Minetto, fu aperto il Cinema Iride. […]
In seguito l’edificio di Via San Giovanni 7 subì notevoli modifiche con l’aggiunta di un piano e di un’ala abitativa. Chiuso il cinema, i locali ospitarono il Ristorante Pensione San Giovanni.


Nel 2014 anche il ristorante serrò i battenti e lo stabile rimase inutilizzato per gran parte dell’anno. Solo durante il Rabadan si anima grazie all’Unione Sportiva Pro Daro che vi organizza il suo ritrovo.


Presto, però, l’edificio ritroverà una sua funzione come sede di Pro Infirmis e di altri enti sociali.
[…]
In Via Henri Guisan, già Via Caserma, si trova la Chiesa dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, edificio eretto fra il 1760 e il 1772 dall’asconese Matteo Pisoni per i Padri Agostiniani.
La consacrazione avvenne il 24 gennaio 1797.


Nella facciata a due ordini divisi da sei lesene si aprono cinque nicchie, ciascuna delle quali ospita una statua: in alto il Redentore, nel secondo ordine la Vergine e San Giovanni Battista; in basso San Filippo Neri e una figura non meglio identificata, forse Santa Marta.


L’interno della chiesa è a nave unica con volta a crociera e sei cappelle laterali.


Nel 1812, soppressi gli Agostiniani, la chiesa fu chiusa.
Nel 1825 il Comune la cedette alla famiglia Bonzanigo che la riaprì per poi richiuderla un anno dopo. Usata come arsenale dal 1834, fu riconsegnata al culto nel 1883.


Tra i dipinti che la decorano, l’olio su tela L’Adorazione del Bambino, opera di maestro ignoto e datata al principio del diciassettesimo secolo. Il Bambino, seduto sulla roccia, sorride alla Vergine. Ai lati San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista. In primo piano i Santi Agostino e Abbondio, dietro Sant’Ambrogio con libro e staffile.


Quasi tutti gli altri dipinti sono opera di Pietro Verzetti, frescante e pittore nato a Vercelli nel 1876 e morto a Como nel 1955. Formatosi all’Accademia di Brera, ebbe come maestri Vespasiano Bignami e Cesare Tallone.


Sono sue le tele che, ai lati dell’ingresso, raffigurano Il Buon Pastore e la pecora smarrita (Lc 15, 3-7) e La parabola del padre misericordioso (Lc 15, 11-32).
Suoi anche alcuni quadri che adornano le pareti del coro.
La più impressionante delle sue opere è il dipinto raffigurante la decapitazione di San Giovanni Battista, datato 1928.
[…]


Nota
* Talamona, Enrico. Vecchia Bellinzona, Edizioni Salvioni, Bellinzona, 1954, p. 12-13.



Fonte: “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.








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Oratorio del Corpus Domine




[…] Si trova al numero 2 della Salita alla Motta, a pochi passi dalla Collegiata.


Sede cinquecentesca della Confraternita del Santissimo Sacramento, è stato restaurato nel 2015.


Sulla facciata spicca un affresco della prima metà del XVII secolo raffigurante l’Adorazione del Santissimo. Un’iscrizione in latino, incisa sull’architrave, recita Casa della Confraternita del Santissimo Corpo di Cristo.


All’interno, in fondo all’aula quadrangolare, i marmi policromi di un altare barocco settecentesco e una tela raffigurante l’Incoronazione della Vergine, dipinto a olio del pittore Salvatore Pozzi di Valsolda, l’unico a portare la firma dell’autore.
Sui profili delle lunette e delle vele vi sono alcune decorazioni a stucco risalenti alla metà del Seicento e attribuite a Domenico Pacciorini da Ravecchia.


Il restauro ha portato alla luce alcuni fregi, precedentemente nascosti sotto uno strato di pittura azzurra: festoni, putti, grifoni, figure simboliche e motti in latino.


Restaurate anche le tele delle lunette raffiguranti episodi collegati al Santissimo Sacramento.


Al centro della volta il Trionfo dell’Eucaristia con Dio Padre che riceve l’ostensorio dalle mani degli angeli.
Poco più in là le figure del patriarca Isacco mentre benedice il figlio Giacobbe e del condottiero Giosuè che espugna la città di Ai.




Fonte: “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.








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Chiesa Evangelica Riformata




La Chiesa inaugurata il 26 novembre 1899, di stile Gotico tedesco è simile a quelle esistenti nella svizzera tedesca.


Sorta a Bellinzona per necessità religiose dei confederati confluiti a Bellinzona per la costruzione della ferrovia del Gottardo dopo la metà del 1800.


All'interno, spoglia di immagini e senza fasti come la capanna che accolse Gesù alla vita, non ha l'altare, oggetto tipico del rito pagano.


Il campanile si differenzia nella sommità da quelli del rito cattolico (che hanno una croce) con un gallo.



Fonte: Paolo German








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Sala del Municipio



Al primo piano del Palazzo civico si trovano la sala del Municipio e la sala patriziale, dotate entrambi di monumentali camini di pietra. Le pareti sono rivestite di legno e dai soffitti a cassettoni pendono lampadari di ferro battuto. Il legname per il tavolo e le sedie della sala municipale fu ricavato da un’enorme trave di noce, recante la data del 1624 e proveniente dall’antico torchio comunale di Monte Carasso.



Fonte:
“Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.






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Sala del Consiglio Comunale



La sala del Consiglio comunale, situata al secondo piano, ha il soffitto di legno e le pareti decorate con graffiti che imitano la tappezzeria murale .


A tergo del seggio presidenziale vi è l’opera intitolata Bellinzona alla fine del 1700, eseguita nel 1941 con la tecnica del graffito da Giuseppe Poretti e Taddeo Carloni su disegno di Baldo Carugo.


Sulla parete opposta campeggia, invece, una tela ad olio, opera del pittore veneziano Pompeo Molmenti, raffigurante Otello che riceve la bandiera dalle mani del Doge. La tela è un dono del banchiere Adolfo Rossi, la cui collezione d’arte costituì il primo nucleo di quello che divenne il Museo Villa dei Cedri.




Fonte:
“Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.






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Monumento ai caduti per la Patria



Eretto per ricordare i caduti durante la Mobilitazione Generale della Grande Guerra, era posto nella Piazza Giardino, di fronte alla Sede del Governo. Voluto dal Circolo della Stampa che ne organizzava una colletta per una lapide che ricordi i nomi dei Caduti in servizio attivo.


Inaugurato il 19 settembre 1920, Festa della Confederazione.


La statua, che raffigura il “Soldato morente”, è opera di Apollonio Pessina da Ligornetto. Sopra un’epigrafe di Francesco Chiesa:
“Perché sicuri i focolari, libera la terra salve le vite e il pane, accettiamo la morte”, i 123 nomi dei deceduti durante il servizio attivo 1914 – 1928, e la seguente citazione: “Non sono ignoti per un paese che ha saputo presidiare le frontiere”.


Pessina esprime piuttosto sentimenti di mestizia per chi è caduto in servizio e di dolente sollievo per aver evitato l’immane tragedia.
I decessi del 1918 sono dovuti “all’influenza spagnola” che dilagò nell’intero mondo facendo molti morti.


È il 31 ottobre 1948, a cento anni dalla nascita della Confederazione Svizzera, e il monumento viene spostato in via Dogana, appoggiato alla murata, affiancato da 2 bassorilievi che rappresentano :
a sinistra l’educazione al lavoro,
a destra l’educazione familiare.
Vengono aggiunti i nomi dei 320 soldati deceduti durante il servizio attivo 1939 – 1948.




Fonte: Paolo German



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Sala Patriziale



Al primo piano del Palazzo civico si trovano la sala del Municipio e la sala patriziale, dotate entrambi di monumentali camini di pietra. Le pareti sono rivestite di legno e dai soffitti a cassettoni pendono lampadari di ferro battuto.




Fonte:
Testo “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.






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Il Cimitero cittadino




Il cimitero di Bellinzona, consacrato nel 1837 e ampliato più volte, è una sorta di museo all’aria aperta.
I suoi viali, con i nomi e gli epitaffi incisi sulle lapidi, lumeggiano molti aspetti del passato cittadino.


Cenni storici
Nel Medioevo i morti venivano seppelliti all’interno delle chiese o nei terreni adiacenti. Fu solo nell’Ottocento che, grazie alle disposizioni amministrative napoleoniche, si tornò all’usanza romana di tumulare i defunti fuori del perimetro urbano.
A Bellinzona risale al 1834 l’idea di allestire un cimitero dinanzi alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, ai margini della città.
I lavori, iniziati nel 1836, si conclusero il 1° novembre dell’anno successivo con la consacrazione dell’area.
Sessant’anni dopo, nel 1896, l’architetto e capotecnico comunale Maurizio Conti diresse i lavori che ne triplicarono la superficie.


Altri terreni furono acquistati tra il 1920 e il 1925, ma fu solo nel 1933 che il cimitero assunse la sua configurazione attuale.


L’arte funeraria
Tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso Il Dovere pubblicò una serie di articoli nei quali si descrivevano tombe e arredi eseguiti da artisti famosi come Vincenzo Vela, Antonio Soldini, Giuseppe Chiattone, Fiorenzo Abbondio e Apollonio Pessina, o da scultori meno noti come Antonio, Giovanni e Luigi Lepori, Pietro Bianchi e Armido Sacchiero.
Oggi una visita al cimitero di Bellinzona permette di passare in rassegna opere che rivelano il succedersi delle varie stagioni artistiche e il mutamento nei gusti, usi e costumi della nostra società.


[…][Partendo dall’ingresso di Via Convento, davanti alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, a] sinistra, addossate al muro perimetrale, si osservano le lapidi marmoree più antiche.
Fra tutte spiccano quelle della famiglia Bonzanigo, del canonico Giuseppe Ghiringhelli e del sindaco e presidente del Consiglio di Stato Giovanni Mariotti.
A destra si notano le lapidi di molti altri casati patrizi, come i Bruni, i Chicherio, i Molo e i Rusconi. Proseguendo lungo il muro che si erge parallelo a Via Camposanto, si arriva al Famedio, edificio funebre progettato dall’architetto luganese Giuseppe Antonini e costruito nel 1939 (foto 3). Gli affreschi che decorano la facciata sono opera del pittore Ottorino Olgiati, mentre i dipinti sulle pareti interne furono eseguiti da Alberto Salvioni.


Davanti al Famedio si apre il vialetto che conduce al crematorio, edificio eretto nel 1971 su progetto firmato dall’architetto Alberto Camenzind con la collaborazione di Bruno Brocchi.
La nona tomba sulla destra appartiene alla famiglia di Carlo Banfi, fu Giuseppe. Il monumento funebre, intitolato Ai piedi della croce, è opera di Apollonio Pessina. Raffigura la figlia di Domenico Banfi, morta a soli sei anni. La bimba si protende verso il cielo, mentre la madre la trattiene appena e il padre si inginocchia sotto il peso del dolore.


Imboccando il viale centrale in direzione di Via Canonico Ghiringhelli, ci si imbatte sulla destra nella tomba della famiglia di Francesco Colombo. Questi, in ricordo della moglie Vera Carmine, commissionò a Fiorenzo Abbondio la scultura L’ultimo commiato. Il gruppo scultoreo raffigura un uomo che accompagna la sposa alla soglia della morte, rappresentata da un arco di gneiss di Lodrino alto quattro metri.


Arrivati in prossimità dell’ingresso di Via Ghiringhelli, si imbocca il viale a sinistra che ci conduce ai sarcofaghi delle famiglie von Mentlen e Mariotti.
Ripercorrendolo a ritroso, si arriva alla tomba della famiglia di Giovanni Battista Bonetti, industriale di cosmetici e proprietario della villa eretta nel 1913 in Via Salvioni.
Il gruppo scultoreo, scolpito da Apollonio Pessina nel 1931, raffigura la Pietà.
Poco distante si trova la tomba di Luigi Colombi, segretario del Tribunale federale e consigliere di Stato. Il monumento,
intitolato Mestizia, è opera di Apollonio Pessina. Raffigura un uomo inginocchiato nell’atto di sorreggere il corpo dell’amata.


Arrivati al muro di cinta che corre parallelo a Via Camposanto, ci si imbatte nella tomba che accolse le spoglie di Giovanni Jauch e della moglie Elisa Schenardi. Un’edicola sorretta da quattro colonne di calcare sostiene un tabernacolo in stile neogotico. Il monumento è ornato da una corona di rose e da alcuni codici legali, richiamo alla professione del defunto, che fu
avvocato e sindaco di Bellinzona.
All’interno dell’edicola gli ovali con i ritratti dei due coniugi, forse scolpiti da Vincenzo Vela.


Si prosegue ora imboccando il primo vialetto che si apre sulla destra.


Nel secondo campo si trova un’altra tomba con una scultura attribuita a Vincenzo Vela. Il tondo nella lapide raffigura Andrea Fanciola, direttore delle Poste cantonali, morto nel 1888. Sotto la sua effigie una corona di fiori, due bandiere, un fucile, un telegrafo e il registro delle poste.
[…]


Fonte: “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.








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Piazza Stazione



La stazione FFS


La stazione ferroviaria di Bellinzona è situata sulla sommità di una piccola collina.


Progettata dal professor Göller, capo architetto delle Ferrovie del Gottardo, fu costruita fra il 1874 e il 1878 dal lucernese Gustav Mussdorf.


La rimessa per i vagoni e la pensilina di ferro sopra i binari furono aggiunti nel 1882.


Altri lavori di ampliamento vennero eseguiti dalla ditta Sala & Pelossi fra il 1922 e il 1929.


Il varo di AlpTransit, progetto svizzero di alta velocità ferroviaria, ha condotto in anni recenti al suo completo restauro.
La nuova stazione, come appare [qui], è stata inaugurata nell’ottobre del 2016. […]



Fonte: “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.







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Ponte della Torretta



Il ponte militare fu fatto erigere dal duca di Milano Ludovico il Moro nel 1487, ma ebbe vita breve.
Nel 1515 fu travolto dalla buzza di Biasca a causa dello straripamento del lago formatosi pochi anni prima dalla frana del Monte Crenone.


Il ponte sarebbe dovuto essere composto da tre piloni e quattro arcate. La sua distruzione a emmeno
30 anni dalla costruzione lasciò, per altri tre secoli, la zona di Locarno e la sponda destra del Ticino
nuovamente isolate dal collegamento via terra.


Il nuovo ponte a dieci arcate, progettato da Giulio Pocobelli, fu ultimato tra il 1813 e il 1815.


La torretta che diede il nome al ponte fu demolita nel 1869.


Il ponte fu in parte demolito e trasformato nel 1901.


Il Ponte fu modificato nel 1901 su progetto dell’Ing. Carlo Bonzanigo e definitivamente demolito nella primavera del 1970.


Solo parte delle testate in pietra sono ancora oggi visibili sulle due sponde del Fiume Ticino.





Fonte: Pannello esplicativo alla testata del Ponte, lato Bellinzona (02.12.2020)





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I castelli di Bellinzona
Patrimonio mondiale dell'Unesco




Nel 1242 si diceva di Bellinzona che il sito - intendendo il Castelgrande - era difeso dalla natura e dall'uomo a tal punto che nessuno l'avrebbe potuto espugnare. Un'analoga opinione era diffusa fra i confederati nel Quattrocento, i quali ritenevano Bellinzona una fortezza capace di resistere a ogni conquista.


Per noi che abbiamo modo di osservare quelle cupe mura merlate, quelle torri e quelle feritoie oggi, nel XX secolo, non è difficile immaginare l'effetto che la chiusa di Bellinzona doveva produrre nel medioevo.


Una quantità di singoli elementi si uniscono a formare un'opera che nel suo insieme rispecchia la potenza economica, politica e militare dei duchi di Milano cui si deve la grandiosa fortificazione di sbarramento nel suo aspetto definitivo.


[…] L'importanza strategica della chiusa nella valle del Ticino – intimamente connessa in ogni tempo con la situazione di Bellinzona in ordine alla politica dei trasporti - ebbe a risentire immediatamente di tutti i mutamenti di carattere militare che avvennero nel corso dei secoli.


In epoca romana e nell'alto medioevo Bellinzona fungeva da punto d'appoggio del potere centrale imperiale e da presidio militare di uno scacchiere operativo. Bellinzona conservò le caratteristiche del presidio fino al XIV e XV secolo - ne furono indiretti riverberi le battaglie di Arbedo e Giornico -, ma contemporaneamente la fortezza andò configurandosi sempre più come una chiusa rivolta a settentrione che tracciava una linea di confine fortificata volta a sbarrare il passaggio ai vicini con intenzioni ostili, quali erano i Confederati.
Per il transito pacifico, in specie per il commercio di bestiame, si faceva uso del portone che si apriva nella murata; dal la Svizzera centrale, così, le mandrie di bovini potevano proseguire verso i mercati del Norditalia, evitando le viuzze strette di una cittadina come Bellinzona.
Oggi l'impronta complessiva dei castelli è legata soprattutto al loro ruolo nel tardo medioevo, quando fungevano da fortificazioni di sbarramento per il ducato di Milano. Tracce residue di installazioni militari romane e altomedievali sono rilevabili solo sul piano archeologico.
Nei pochi casi in cui restano in piedi, le opere difensive del medioevo avanzato scompaiono nelle fortificazioni milanesi o appaiono in forma isolata, come la Torre Nera e la Torre Bianca nel Castelgrande. Nessun manufatto visibile di epoca anteriore al 1350, inoltre, ha tratti inconsueti: quelli di Bellinzona sono esempi comunissimi di architettura militare, riscontrabili spesso nelle valli sudalpine.
Assai diverso è il caso delle fortificazioni milanesi del tardo medioevo, concresciute fino a sbarrare tutto il fondovalle: combinando opere difensive ben collaudate, creatività architettonica e simbolismo di potenza territoriale, esse risultano un complesso straordinario, unico perfino su scala europea . Solo osservando i particolari si può cogliere la globalità del piano difensivo, creato consapevolmente in funzione di un nemico ben preciso. La valle è sbarrata per intero; contro eventuali infiltrazioni di piccole bande, che potrebbero aggirare la valle risalendo i fianchi ripidi dei monti, si adotta il principio della difesa a tutto campo.
L'avanzata di macchine d'assedio viene impedita con pezzi d'artiglieria media e pesante (colubrine e bombarde), posti su piattaforme di torri o su alture. Agli assalti, che dai confederati ci si può attendere anche su terreni rocciosi e impervi, si risponde col fuoco fitto (frontale e laterale) di bocche di piccolo calibro (falconi), ma anche di balestre e di archibugi.
Le caditoie, infine, consentono di difendere i muri da attacchi con scale e da tentativi di scalzamento, proteggendo chi getta dall'alto pece, sassi e proietti incendiari.
In questo piano difensivo tutti i merli, le cannoniere e le altre feritoie hanno compiti specifici: fessure di vario tipo si adattano, secondo i casi, a bocche di piccolo calibro oppure a balestre e archibugi, al fuoco frontale o a quello di fiancheggiamento. Spicca però la relativa debolezza dei muri, che in pratica non avrebbero resistito a un fuoco d'artiglieria: a Milano si sapeva che difficilmente i confederati avrebbero potuto trasportare sul San Gottardo pesanti cannoni d'assedio.
Un problema ben più grave era il gran numero di truppe necessarie per una difesa efficace dell'intera chiusa: stando a stime prudenti, dovevano occorrere circa 2500 uomini. (Nel 1499/1500 si constatò che non ne bastavano 1000 per tenere l'intera piazzaforte.)
I considerevoli dislivelli topografici di Bellinzona, inoltre, potevano risultare svantaggiosi ai fini difensivi, giacché le mura di cinta e di raccordo degradanti, con i loro stretti cammini di ronda e le ripide scale, ostacolavano lo spostamento veloce dei contingenti di riserva. Non è chiaro, tra l'altro, che ruolo avrebbero avuto in uno scontro difensivo i civili di Bellinzona, non soggetti ai comandanti militari.
Per il buon esito di una difesa, segnatamente in caso d'assedio, era essenziale rifornire gli uomini di viveri, armi e munizioni. In questo senso la guarnigione, anche al massimo dell'effettivo, era in posizione di vantaggio: il porto (ancora utilizzabile nel Quattrocento) consentiva rifornimenti massicci per via d'acqua, mentre gli assalitori avevano a disposizione, per approvvigionarsi, solo magre vallate di montagna. Tutto sommato, però, anche per il ricco ducato milanese difendere militarmente Bellinzona costituiva un onere finanziario che possibilmente si cercava di evitare per via diplomatica: corrompendo con denaro il ceto dirigente dei Confederati, concedendo privilegi commerciali e doganali o sfruttando i contrasti d'interessi all'interno della Confederazione.
Bellinzona testimonia bene ancora oggi, perciò, non solo la maestria degli architetti militari milanesi, ma anche l'impotenza della politica territoriale confederata nel tardo medioevo.



Fonte:
Werner Meyer, I castelli di Bellinzona, pubblicato su Bellinzona 2002, curatore Enrico Tettamanti, Fontane Edizioni.




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Galleria dei Benedettini




[…]
[La Galleria dei Benedettini] ha una storia che inizia nel Seicento, quando i Gesuiti aprirono un collegio in Via Codeborgo.


Nel 1675 l’istituto passò ai Benedettini di Einsiedeln, che nel 1782 restaurarono il collegio, il convento e la chiesetta barocca dedicata a Santa Maria del Pianto, detta anche dello Spasimo o dell’Addolorata.


Il 20 maggio 1803 il Gran Consiglio del neo costituito Cantone Ticino vi tenne la sua prima seduta. Una targa marmorea ricorda così quell’avvenimento:


«Agli albori del secolo XIX il Ticino, sorto a dignità di Stato autonomo, entrava nella Lega dei Cantoni Confederati.
Il Gran Consiglio, eletto in liberi popolari comizi, tenne in questa vetusta sede la sua prima seduta inaugurale il 20 maggio 1803. Autorità e popolo riconoscenti un secolo dopo il 20 maggio 1903 commemorano il fausto evento».


Dopo la promulgazione della legge del 30 giugno 1848 sulla soppressione dei conventi, l’edificio fu espropriato e incamerato dallo Stato.


In seguito fu acquistato dall’ingegner Fulgenzio Bonzanigo, che proprio in quel collegio aveva compiuto i suoi primi studi.
Nel 1893 egli fece abbattere l’abside e la facciata della chiesa, trasformando il coro e la navata nella galleria che collega Via Codeborgo al Viale Stazione. Il campanile rimase a ricordare l’antica funzione dell’edificio fino al 1927, anno nel quale fu abbattuto.


Nel graffito Bellinzona alla fine del 1700, conservato nella Sala del Consiglio comunale di Bellinzona, si vedono la chiesa e il convento dei Padri Benedettini con gli orti e una manciata di altri edifici. Sul versante occidentale, addossati alla parete rocciosa di Castelgrande, palazzi e case si allineano a formare un corteo che si arresta poco prima della cinta muraria.
[…]



Fonte:
“Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.












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Monumento alle vittime dell’incidente di S. Paolo



Nel piazzale Benigno Antognini si trova uno dei rari monumenti civili eretti per ricordare una catastrofe umana.


La notte fra il 22 e il 23 aprile 1924, un treno proveniente da Genova si scontrò a S. Paolo con un altro convoglio. Nell’urto perirono 7 ferrovieri e 14 passeggeri.


Il monumento fu commissionato dalle FFS e porta l’epigrafe “I ferrovieri svizzeri ai colleghi che qui la forza domò – da essi prima domata – e restituì avanzi informi ai congiunti disperatamente cercati nella notte”.



Fonte: Paolo German




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Palazzo del Governo
(anticamente Convento delle Suore Orsoline)



Costruito nel 1738, fu chiuso per la decisione federale di chiudere i conventi ( 30 giugno 1848) e dunque venduto anche causa mancanza di Novizie al nuovo costituito Governo ticinese che era alla ricerca di una sistemazione definitiva.


Le Suore Orsoline davano l'istruzione scolastica alle ragazze del luogo. Originariamente aveva una forma a ferro di cavallo.


Subì poi l'aggiunta di un'ala, chiudendo uno spazio a cortile interno. Furono necessità pratiche che imposero questo cambiamento.



Fonte: Paolo German






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Corridoio al primo piano



Un serie di busti-ritratto raffiguranti i "Padri della Patria ", realizzati da Vincenzo Vela, scultore di Ligornetto.



Fonte: Paolo German







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Sala del Gran Consiglio



Plafone: un dipinto a tempra del pittore del 22 enne Antonio Maina di Caslano con la raffigurazione allegorica della giovane Repubblica nelle sembianze di un giovine che si libra nel cielo con il motto ''Tutti per uno, uno per tutti", motto e principio della moderna Svizzera che orna il soffitto della Sala del Gran Consiglio dal 1889.



Fonte: Paolo German








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Chiesa di S. Rocco



Fondata nel 1330 da Jacopo Cattaneo con il titolo di S. Maria del Ponte e ricostruita in seguito alla distruzione quasi totale avvenuta nel 1478 per far posto al rivellino di Porta Camminata.
Dal 1583 sede della confraternita di S. Rocco.


L'edificio rettangolare orientato con piccolo campanile laterale subì trasformazioni nella prima metà del XVII sec.


Facciata principale rimaneggiata nel 1832. Radicali lavori di rinnovamento su progetto di Giuseppe Weith nel 1926-28, che comportarono la sopraelevazione del campanile e la realizzazione degli affreschi di Carlo Bonafedi sulla facciata principale raffiguranti la Madonna fra i SS. Pietro e Stefano e S. Rocco.
Restauri 1984, 1996-97 (esterno, ristrutturazione interna e posa del nuovo arredo liturgico).


Aula coperta da volte a crociera con riquadri centrali in stucco.


Nel coro delimitato da una balaustra marmorea barocca: decorazione in stucco, 1702-20; tra le due finestre nella parete terminale, comunicanti con la scuola di S. Rocco, è posta una statua in legno dorato e dipinto del patrono, XVI sec., che sovrasta una pala dell'Assunta, opera manieristica di Bartolomeo Roverio detto Genovesino, proveniente dalla Collegiata, prima metà XVII sec.; sulle pareti laterali, quattro tele con scene della vita di S. Rocco, tre delle quali dell'inizio del XVII sec.


Altare laterale sinistra in marmi policromi con tela di S. Lucia attribuita a Francesco Innocenzo Torriani, seconda metà XVII sec., e paliotto in scagliola dell'antico altare maggiore di Giovanni Battista Rava, 1741.
Di fronte: tela con la Visitazione, XVII sec.
Via Crucis in legno intagliato di Giovanni Genucchi, 1932.



Fonte:
Autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 30-31, Edizioni Casagrande, 604 pagine








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Chiesa di S. Sebastiano



L'edificio d'origine romanica, del quale rimane la piccola abside orientata, fu trasformato e ampliato a più riprese. Nel corso della radicale ristrutturazione del 1858 fu aggiunto, sul lato Nord, l'attuale coro semicircolare. Il campanile sorge sul fianco Ovest della navata.
Restauri 1988 (interno) e 1996-97 (esterno).


Sulla facciata principale: mosaico con il patrono, 1996.


Nell'abside primitiva si conserva un frammento d'affresco con il Crocifisso, fine XV sec.


Interno coperto da volte a crociera e a botte. Sulla volta del coro: dipinti murali degli evangelisti, di Pompeo Maino, 1934.


Sulla parete di fondo: ancona in stucco, 1858, contenente una statua lignea della Madonna col Bambino.


Altare maggiore coevo in marmi policromi; nuovo altare posato nel 1996; nelle nicchie laterali del coro, statue del Sacro Cuore di Gesù e di don Bosco.


Ai lati dell'arco trionfale: due altari in stucco, pure del 1858, con statue lignee policrome dei SS Sebastiano e Maria Maddalena.



Fonte:
Autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 40-41, Edizioni Casagrande, 604 pagine





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Chiesa conventuale del Sacro Cuore


La chiesa e il convento del Sacro Cuore in via Varrone 12 a Bellinzona sono stati inaugurati il 23 novembre 1939. I Cappuccini della Svizzera Italiana incaricarono due giovani architetti Carlo e Rino Tami che progettarono il complesso, non dove i frati avevano indicato - nelle vicinanze della stazione Bellinzona-Mesocco - ma più a nord, dicendo che la città si sarebbe ben presto sviluppata in quella regione.


Per l'esterno fu impiegato il granito della Riviera, nell'interno il rivestimento è in mattoni cotti provenienti da Riva San Vitale, purtroppo tutti dello stesso colore. Un pittore li passò ad uno ad uno dando tinte diverse con un intruglio da lui inventato e mai rivelato. Questa soluzione dei mattoni a vista suscitò qualche polemica; ci fu chi scrisse sui giornali che era una chiesa non finita perché mancava l'intonaco.


Le polemiche si accesero per la Via Crucis di Guido Gonzato, pittore di Mendrisio, che dipinse le quattordici stazioni con dei riquadri sulle pareti stagliati in modo indipendente l'uno dall'altro: per eseguire questo lavoro chiese di essere ospitato in convento e di avere un muratore a sua disposizione quando l'estro lo convinceva a dipingere, quindi a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Ad opera finita ci furono delle entusiastiche approvazioni, ma anche delle critiche feroci. Lo stesso pittore doveva fare la pala finale, ma proprio per le polemiche suscitate dalla Via Crucis i frati non gliela commissionarono.


A Remo Rossi fu commissionato il grande crocefisso che doveva essere posto sull'altare, ma il suo modello di gesso abbronzato non trovò consensi: ci fu chi disse che assomigliava più ad una donna che non a Gesù. Perciò, sopra l'altare del Sacro Cuore fu messo un crocifisso di Ortisei.


Nel 1966, per soddisfare alle esigenze liturgiche dettate dal Concilio Vaticano Il, il presbiterio fu ristrutturato, e al posto del crocifisso d'Ortisei sulla parete di fondo, ora, si alternano dei drappi, secondo il tempo liturgico.


La bella facciata in granito con rosone non fu disegnata, ma le pietre furono collocate da operai specializzati secondo la loro intuizione. Sopra le arcate del portico i simboli marmorei dei quattro evangelisti sono opera di Remo Rossi.


Sul portale ligneo d'ingresso due formelle, scolpite da Pierino Selmoni, rappresentanti i santi Pietro e Paolo.


Nell'interno, da destra a sinistra: sotto la prima arcata, statua devozionale del Sacro Cuore. Sotto la seconda, bassorilievo della Madonna col Bambino, lavoro fiorentino della scuola dei Rossellino.
Sotto la terza, tela settecentesca di S. Francesco di ottima fattura italiana.


Nella lesena destra del presbiterio, dietro l'ambone (con la scritta PAROLA), tabernacolo barocco di ignoto autore tedesco.


Al centro altare e sedie lignee, a sinistra grande e bellissimo crocefisso del quattrocento, scultura probabilmente tedesca.


Accanto, pila marmorea quale battistero.


Scendendo nelle arcate di sinistra: sotto la prima, dietro la consolle dell'organo, quadro raffigurante il testo meditativo di San Nicolao della Flue.


Sotto la seconda arcata, icona russa rappresentante la risurrezione con la vita del Redentore.


Nell'ultima arcata statua lignea devozionale di S. Antonio da Padova .


Sopra il portone d'entrata le canne di un organo Balbiani collocate negli anni cinquanta.


Tutta la chiesa ispira alla preghiera e alla meditazione e, per la sua semplice bellezza, è iscritta nell'elenco dei monumenti protetti.



Fonte:
Padre Callisto Caldelari, Chiesa del Sacro Cuore di Bellinzona, pubblicato su Bellinzona informazioni 2002, Fontana Edizioni








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Oratorio della Madonna della Neve



In origine l’edificio era una semplice cappella eretta qualche tempo dopo la visita di San Carlo Borromeo, nel 1583.


Nel 1686 l’oratorio fu ampliato dal landscriba Magno Francesco von Mentlen. Nel 1750 vi fu aggiunta la piccola navata di destra con l’altare di Sant’Antonio.


Nella facciata si apre un atrio secentesco a tre arcate. Varcato il portale, si entra in un’aula rettangolare con due campate. L’atrio d’ingresso è sormontato da una tribuna con balaustra.


La cupola sopra il coro è affrescata con un’Incoronazione della Vergine risalente al XVII o XVIII secolo.


Nell’ancona dell’altare spicca invece una Pietà del Seicento.


Fra le tele conservate nell’oratorio della Madonna della Neve vi sono i cosiddetti Transiti di San Giuseppe e della Vergine. Nel primo è raffigurato San Giuseppe mentre esala l’ultimo respiro fra le braccia del figlio.
Nel secondo Cristo e l’Onnipotente vegliano sui sette apostoli che assistono alla dipartita di Maria.
Altre due tele raffigurano Giuditta ed Erodiade. La prima impugna la scimitarra con la quale ha reciso il capo del generale assiro Oloferne (Gdt 13, 4-8), mentre la seconda sorregge un bacile con la testa di Giovanni Battista (Mt 14, 8-12).


L’oratorio conserva anche alcuni ritratti dei von Mentlen, fondatori della cappella. In uno, datato 1699, appare il landscriba Francesco von Mentlen, mentre in un altro è raffigurato il ventiduenne Carlo Antonio (1701).


Una lapide ricorda Giuseppe von Mentlen (1829-1900), presidente del tribunale di Bellinzona e membro del governo cantonale.


Le sei cappelle della Via Crucis furono affrescate da Giuseppe Bonalini nel 1923 e da Max Läubli nel 1981.


Generalmente l’oratorio della Madonna della Neve è chiuso. La locale comunità serbo-ortodossa vi tiene periodicamente alcune funzioni religiose.



Fonte: “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.







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Chiesa collegiata
dei SS Pietro e Stefano



Imponente edificio rinascimentale completato in epoca barocca. Costruzione a navata unica orientata con pseudotransetto e coro poligonale al cui fianco Nord è addossato il campanile.


La prima parrocchiale di S. Pietro, attestata nel 1168, e la canonica erano situate dentro la cinta di Castelgrande.


La chiesa attuale, progettata da Tommaso Rodari, fu edificata tra il 1515 e il 1543 sulle fondamenta della chiesa di S. Stefano citata nel 1424. Augusto Ronede diresse i lavori fino al 1543.


Costruzione delle volte iniziata nel 1542 su disegno di Antonio da Dongo.


Campanile eretto negli anni 1567-73. Rivestimento della facciata in pietra di Castione realizzato dal 1640 al 1654.


Coro ampliato a più riprese tra il 1684 e il 1785; l'aspetto attuale si deve a Giuseppe Caresana.


Monumentale scalinata d'accesso rinnovata nel 1849 e nel 1875 su disegni di Giuseppe Artari.


Restauri negli anni 1911-12, 1981-85 (esterno) e 1990-99 (interno).


La facciata rinascimentale articolata in tre assi, ultimata in epoca barocca, suggerisce un impianto di tipo basilicale a tre navate.


Portale principale del 1640. attribuito a Giovanni Ghiringhelli, sormontato da una nicchia contenente una statua di S. Pietro.


Nel secondo ordine si apre un grande rosone centrale riccamente decorato, affiancato da nicchie con statue dei SS. Stefano e Lorenzo; il fastigio soprastante reca un'iscrizione e la data 1654.


Sugli acroteri del frontone triangolare e delle spalle: copie delle statue seicentesche della Madonna, di due angeli tibicini e dei re Salomone e Davide.


Portali laterali rinascimentali di gusto rodariano; quello a sinistra è arricchito da bassorilievi con grottesche, gli strumenti della Passione, una fenice e un pellicano quali simboli divini.


Portale a destra ornato con un bassorilievo di una mano benedicente sull'architrave.


All'austerità della facciata si contrappone il carattere scenografico tipicamente barocco dello spazio interno.
Navata voltata a botte lunettata, campata d'incrocio sormontata da una cupola a pennacchi e coro coperto da volte a crociera. Decorazione pittorica di Giovanni Airaghi (figure) e Federico Boni (ornato), 1849-50.


Sui prospetti esterni delle otto cappelle laterali dotate di finestre termali: stucchi eseguiti per lo più da Giovanni Battista Barberini, 1661 ca., raffiguranti i quattro evangelisti, profeti, padri della Chiesa e sibille.
Le cappelle delimitate da balaustre marmoree del XIX sec. contengono ricchi stucchi databili dalla fine del XVI fino al XVIII sec. e altari con ancone in marmi policromi dei sec. XVII-XIX.


Sul lato destro nella prima cappella: altare del XVII sec. con paliotto in scagliola di Giuseppe Maria Pancaldi, metà XVIII sec., e statua di S. Gaetano di Thiene, 1884; tele con storie di Gesù e della Vergine attribuite a Francesco Torriani e al figlio Francesco Innocenzo, 1669 ca.


Nella cappella attigua: stucchi di Domenico Pacciorini, 1647; altare del 1747; pala di S. Carlo Borromeo in adorazione del Crocifisso, 1782, e tele con storie di S. Carlo, S. Nicolao e S. Luigi di Francia, affini allo stile di Daniele Crespi, metà XVII sec.


Nella terza cappella: stucchi di Giovanni Battista Lezzeno e Francesco Sala, 1596; altare di Fancesco Maria Colombara, 1778; tele di Camillo Procaccini e bottega, 1601-10, con storie del ciclo del S. Sacramento, fra cui l'Ultima Cena, Melchisedech e Abramo, il Miracolo della manna, Elia soccorso dall'angelo, il Miracolo di Bolsena; le tele delle pareti laterali nascondono resti d'affreschi di Gian Giacomo Gorla, 1560.


La quarta cappella accoglie un altare con una pala raffigurante l'Estasi di S. Luigi Gonzaga, XVIII sec.; ai lati tele con S. Giuseppe, Gesù Bambino e S. Giovannino, di Heinrich Kaiser, 1881, e il Martirio di una santa, metà XVII sec. Sul lato sinistro, nella prima cappella: stucchi del tardo XVII sec.; altare attestato nel 1747, con paliotto in scagliola di G. M. Pancaldi, 1743, e pala di Maria Bambina fra i SS. Anna e Gioacchino, di H. Kaiser, 1877; ai lati, tele con S. Antonio Abate che benedice un mendicante e S. Giulio benedicente una famiglia, attribuite alla bottega di Melchior P. Deschwanden, seconda metà XIX sec.


Nella cappella annessa: stucchi tardoseicenteschi; altare citato nel 1669, con pala della Natività di Gesù, prima metà XVII sec., tele laterali dei SS. Francesco Saverio e Vincenzo con Gregorio, XVII sec.


La terza cappella contiene stucchi della fine del XVI-inizio del XVII sec. e un altare di Elia Buzzi e Maurilio Cattò, 1850; tele con scene della vita di S. Marta, di Bartolomeo Roverio detto il Genovesino e bottega, 1608, in parte sostituite nel XIX sec.


Nell'ultima cappella: stucchi e altare dell'inizio del XVIII sec.; pala del Sacro Cuore di Gesù, di M. P. Deschwanden, 1869; dello stesso autore sono le tele laterali del 1873 con il Figliol prodigo e Gesù che accoglie due bambini.


Nella campata che precede il coro si apre l'arco trionfale accompagnato da due piccoli archi laterali a sesto acuto, che immettono nel pseudotransetto; i sontuosi stucchi rococò del 1748-50 raffigurano l'Assunta fra gli angeli, la Consegna delle chiavi a S. Pietro e il Martirio di S. Stefano.


Le ampie cappelle del pseudotransetto sono limitate da eleganti balaustre in marmi policromi, secondo quarto XVIII sec.


Nella cappella des.: raffinati dipinti murali illusionistici con prospettive architettoniche e angeli musicanti, di Giuseppe Antonio Felice Orelli, 1770; sontuoso altare in marmi policromi, 1750-56, contenente il “corpo santo” di S. Fulgenzio, martire romano.


Di fronte: altare settecentesco in marmi policromi con tabernacolo e mensa neoclassica di Giuseppe Catella, 1811, con statua della Madonna del Rosario di Raimondo Ferraboschi, 1658; ai lati, dipinti murali di S. Domenico e Rosa da Lima attribuiti a Rocco Torricelli, 1812.


Sulle pareti Est del pseudotransetto: grandi dipinti murali con la Lapidazione di S. Stefano, 1885, e la Caduta di Simon Mago, 1887, di Agostino Caironi.


Nel coro: altare maggiore in marmi policromi ideato da Giuseppe Baroffio, 1763; pala del Crocifisso attribuita a Giovanni da Monte Cremasco, 1568; quattro tele con Storie della Vergine, tardo XVIII sec.; stalli in legno intagliato, XVIII sec.


Al pilastro sin. dell'arco trionfale è addossato un fastoso pulpito in stucco lucido sorretto da atlanti e coronato da una statua della Fede di Grazioso Rusca, 1784; i bassorilievi rappresentano la Moltiplicazione dei pani e dei pesci, l'Adorazione dell'agnello e il Sacrificio di Abramo. Accanto al pilastro des. dell'arco: acquasantiera rinascimentale del XV-XVI sec.


All'inizio della navata: grande acquasantiera marmorea detta «fontana e Trivulzio», 1460 ca., in quanto proveniente forse da un castello lombardo degli Sforza, le cui imprese sono raffigurate sul bacino ottagonale.
Fonte battesimale marmoreo con sovrastruttura a tempietto in legno scolpito di Gaspare Mola, 1610, recinto da una balaustra circolare in marmo, 1609.


Sulla tribuna di Defendente Cerino, 1701: organo con nucleo ancora originale di Graziadio Antegnati, 1588, ampliato più volte tra la fine del XVII sec. e i primi decenni del XX sec.


Addossata alla terrazza si trova una fontana neobarocca in ghisa. 1880 ca.



Fonte:
Autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 24-25, Edizioni Casagrande, 604 pagine)




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Ex Convento dei Francescani
addossato al fianco sud della Chiesa di S.M. delle Grazie



Dal 1919 adibito a casa S. Francesco, recentemente restaurati.
Ampliamenti del complesso negli anni '70 e '80 del XX sec.


Nel chiostro risalente alla fine del XV sec. e ampliato nel XVII sec. si conservano alcune colonne e capitelli originali.


I bracci N e E recano 36 affreschi votivi di gusto popolare, 1635-36, con Storie della vita di S. Francesco, recentemente restaurati.
Ampliamenti del complesso negli anni '70 e '80 del XX sec.


Restauro iniziato nel 1997, dopo l'incendio del 1996.


Accanto alla chiesa sorge un edificio del 1932-33 con arcate a sesto acuto, progettato da Giuseppe Weith quale «conventino-ospizio dei Frati Francescani».




Fonte:
autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 33-34, Edizioni Casagrande, 604 pagine






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Santa Maria delle Grazie



Insieme alla chiesa di S. Maria degli Angeli a Lugano conserva i più importanti affreschi rinascimentali di scuola lombarda nel Ticino.


Antica chiesa del convento dei francescani osservanti fondato nel 1480 e soppresso nel 1848.
L’edificio risalente agli ultimi due decenni del XV sec. e consacrato nel 1505 corrisponde alla tipologia delle chiese conventuali lombarde degli ordini minori, divise da un tramezzo in uno spazio per i fedeli - l'aula quadrangolare affiancata a N da tre cappelle poligonali - e uno per i monaci, a pianta quadrata, che termina in un coro pure quadrato. Sul lato N di quest'ultimo si erge il campanile.
Restauri e ristrutturazioni negli anni 1926-3 1 e 1979-82 (affreschi del tramezzo). Ulteriori restauri e interventi tra il 1997 e il 2006 (Sergio e Fernando Cattaneo), resi necessari dal violento incendio che nel 1996 distrusse il soffitto ligneo tardoquattrocentesco dipinto nel XVIII sec. e produsse ingenti danni alla struttura della volta del coro e agli affreschi del tramezzo.
Il portale principale a sesto acuto è decorato da un affresco frammentario dell'Adorazione dei pastori risalente all'inizio del XVI sec.
La navata è coperta da un nuovo soffitto ligneo a travatura; l'androne centrale e le due cappelle della parete divisoria, alta fino al soffitto, così come la chiesa conventuale sono voltati a crociera.


Sul tramezzo è dipinto un ciclo d'affreschi rinascimentali attr. alla bottega degli Scotto e databile intorno al 151O.
Seguendo l'iconografia tipica nella decorazione delle pareti separatorie delle chiese dell'osservanza francescana che si diffuse in Lombardia fra l'ultimo quarto del XV e i primi tre decenni del XVI sec., a Bellinzona è riprodotto, con alcune varianti , il ciclo pittorico, oggi scomparso, di Vincenzo Foppa sul tramezzo della chiesa milanese di S. Angelo, 1480 ca.
Alla grande Crocifissione centrale fanno da cornice quindici riquadri con Storie della vita e della Passione di Cristo, disposti in tre registri: l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto, la Risurrezione di Lazzaro, L'Entrata in Gerusalemme, l'Ultima Cena, la Preghiera nell'Orto, il Bacio di Giuda, Cristo in tribunale, la Flagellazione, Cristo davanti a Pilato, Cristo che porta la croce, la Deposizione e la Resurrezione.
A un primo pittore, identificato dalla critica con Stefano Scotto, è attr. la parte principale del ciclo, quella più aderente ai modelli di S. Angelo, mentre un altro maestro, più vicino a Gaudenzio Ferrari, è l'autore delle parti stilisticamente più aggiornate, che si inseriscono nelle composizioni foppesche (S. Giovanni della Deposizione, le tre Marie che sostengono la Vergine nella Crocifissione).
A un terzo artista si devono le lesene con grottesche rinascimentali e motivi ornamentali allegorici che separano le singole scene.
La parte inferiore del tramezzo è decorata da stucchi della prima metà del XVII sec, con le belle figure dell'Annunciazione sulle imposte dei pilastri.


In origine le cappelle del tramezzo, arricchite da stucchi seicenteschi e chiuse da cancelli in ferro battuto del XVI-XVIII sec., dovevano essere affrescate con storie della Vergine, mentre sui pilastri e nei pennacchi erano raffigurati i maggiori santi francescani.


Del ciclo si conservano nella cappella sin. la Visitazione e i SS. Caterina, Francesco e una santa sui pilastri


Nella cappella des. il pittore gaudenziano attivo sul tramezzo dipinse nello stesso periodo l'affresco con la «Dormitio» della Vergine. Gli altri dipinti murali nelle due cappelle sono opere della prima metà XVII sec., molto ritoccate.


L'altare della cappella sin. è sormontato da una statua lignea policroma di S. Antonio da Padova, prima metà XVII sec.
Nell'urna vitrea dell'altare des. è esposta una statua lignea policroma della Vergine dormiente, inizio XVI sec.


Le cappelle laterali della navata, delimitate da cancelli in ferro battuto del XVII-XVIII sec., si aprono con un arco a sesto acuto.


Nella prima cappella, dedicata a S. Bernardino da Siena: affresco con il patrono fra i SS. Rocco e Sebastiano sulla parete di fondo, opera di un pittore lombardo, inizio XVI sec.; la parte inferiore esiste solo come sinopia; alla stessa mano sono attr. le sinopie coeve di quattro grandi affreschi incompiuti con Storie di S. Bernardino sulle pareti laterali.


Nella cappella di Francesco: decorazione della volta e delle pareti e altare tardobarocchi in stucco, XVIII sec.; pala raffigurante la Madonna col Bambino e i SS. Giovanni Battista e Francesco, inizio XVII sec.; sul piedritto della parasta des., affresco frammentario di una santa francescana, fine XVI­ inizio XVII sec.


La cappella del l'Immacolata contiene stucchi e affreschi dell'inizio de l XVII sec.; sui pilastri e nel sottarco è dipinta una serie di santi francescani; nelle lunette, il Sogno e il Ritorno di Gioacchino; nelle cartelle delle vele, Storie della Vergine, accompagnate da putti.
Pala d'altare con l'Immacolata Concezione, attr. a Carlo Preda, 1690 ca. Tele con la Nascita del la Vergine e la Presentazione al Tempio, XVI-XVII sec.


Sui piedritti tra le cappelle: due lapidi sepolcrali, 1629 e 1640.


Sulla parete des. della navata: pulpito in legno intagliato e scolpito. XVII sec.; tela raffigurante la Gloria di tre santi francescani, attr. a Giovan Battista Sacchi, prima metà XVIII sec., con una cornice lignea seicentesca; tela con il Crocifisso tra i SS. Bernardino da Siena e Giacomo della Marca, pure prima metà XVIII sec., in cornice lignea dorata e policroma, scolpita con scene della Passione di Cristo, seconda metà XVII sec. (inserti del 1927).


Acquasantiera in pietra scolpita, XVI-XVII sec.


La volta della chiesa conventuale è decorata da stelle e dal monogramma di Cristo.


Sulla cantoria lignea addossata al tramezzo sono dipinti angeli musicanti, prima metà XVIII sec.


Sulle vele dell'arco trionfale raffinati dipinti murali incompiuti dell'Annunciazione e sinopie dell'impianto prospettico, attr. a un pittore della cerchia di Ambrogio da Fossano detto il Borgognone, inizio XVI sec.


Sui piedritti : due grandi affreschi frammentari del tardo XVI sec. con le Stigmate di S Francesco e S. Bernardino da Siena.
Tele con la Natività della Vergine. 1730. e l'Estasi di S. Francesco,. XVII sec.


Nel coro rimane un ciclo d'affreschi frammentario con Storie della Vergine, fine XVI sec., ai lati del dipinto murale con l'«Ecce homo»; sulla volta, quattro medaglioni con i padri della Chiesa; nel sottarco, profeti.


Elegante altare maggiore e balaustra barocchi in marmi policromi del 1738.
Sopra l'altare: crocifisso ligneo dello stesso scultore della Vergine dormiente, inizio XVI sec.
Stalli in legno intagliato e scolpito, inizio XVIII sec. Nuovo arredo liturgico. Davanti al coro, sotto i banchi: pietre tombali dei due pittori Gian Giacomo e Alessandro Gorla, morti rispettivamente nel 1586 e nel 1632.


Sul sagrato. a N della chiesa: statua di S. Francesco d'Assisi. 1924.



Fonte:
autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 31-34, Edizioni Casagrande, 604 pagine





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Santa Maria delle grazie



Insieme alla chiesa di S. Maria degli Angeli a Lugano conserva i più importanti affreschi rinascimentali di scuola lombarda nel Ticino.
Antica chiesa del convento dei francescani osservanti fondato nel 1480 e soppresso nel 1848.
L’edificio risalente agli ultimi due decenni del XV sec. e consacrato nel 1505 corrisponde alla tipologia delle chiese conventuali lombarde degli ordini minori, divise da un tramezzo in uno spazio per i fedeli - l'aula quadrangolare affiancata a N da tre cappelle poligonali - e uno per i monaci, a pianta quadrata, che termina in un coro pure quadrato. Sul lato N di quest'ultimo si erge il campanile.
Restauri e ristrutturazioni negli anni 1926-3 1 e 1979-82 (affreschi del tramezzo). Ulteriori restauri e interventi tra il 1997 e il 2006 (Sergio e Fernando Cattaneo), resi necessari dal violento incendio che nel 1996 distrusse il soffitto ligneo tardoquattrocentesco dipinto nel XVIII sec. e produsse ingenti danni alla struttura della volta del coro e agli affreschi del tramezzo.
Il portale principale a sesto acuto è decorato da un affresco frammentario dell'Adorazione dei pastori risalente all'inizio del XVI sec.
La navata è coperta da un nuovo soffitto ligneo a travatura; l'androne centrale e le due cappelle della parete divisoria, alta fino al soffitto, così come la chiesa conventuale sono voltati a crociera.


Sul tramezzo è dipinto un ciclo d'affreschi rinascimentali attr. alla bottega degli Scotto e databile intorno al 151O.
Seguendo l'iconografia tipica nella decorazione delle pareti separatorie delle chiese dell'osservanza francescana che si diffuse in Lombardia fra l'ultimo quarto del XV e i primi tre decenni del XVI sec., a Bellinzona è riprodotto, con alcune varianti , il ciclo pittorico, oggi scomparso, di Vincenzo Foppa sul tramezzo della chiesa milanese di S. Angelo, 1480 ca.
Alla grande Crocifissione centrale fanno da cornice quindici riquadri con Storie della vita e della Passione di Cristo, disposti in tre registri: l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto, la Risurrezione di Lazzaro, L'Entrata in Gerusalemme, l'Ultima Cena, la Preghiera nell'Orto, il Bacio di Giuda, Cristo in tribunale, la Flagellazione, Cristo davanti a Pilato, Cristo che porta la croce, la Deposizione e la Resurrezione.
A un primo pittore, identificato dalla critica con Stefano Scotto, è attr. la parte principale del ciclo, quella più aderente ai modelli di S. Angelo, mentre un altro maestro, più vicino a Gaudenzio Ferrari, è l'autore delle parti stilisticamente più aggiornate, che si inseriscono nelle composizioni foppesche (S. Giovanni della Deposizione, le tre Marie che sostengono la Vergine nella Crocifissione).
A un terzo artista si devono le lesene con grottesche rinascimentali e motivi ornamentali allegorici che separano le singole scene.
La parte inferiore del tramezzo è decorata da stucchi della prima metà del XVII sec, con le belle figure dell'Annunciazione sulle imposte dei pilastri.


In origine le cappelle del tramezzo, arricchite da stucchi seicenteschi e chiuse da cancelli in ferro battuto del XVI-XVIII sec., dovevano essere affrescate con storie della Vergine, mentre sui pilastri e nei pennacchi erano raffigurati i maggiori santi francescani.


Del ciclo si conservano nella cappella sin. la Visitazione e i SS. Caterina, Francesco e una santa sui pilastri


Nella cappella des. il pittore gaudenziano attivo sul tramezzo dipinse nello stesso periodo l'affresco con la «Dormitio» della Vergine. Gli altri dipinti murali nelle due cappelle sono opere della prima metà XVII sec., molto ritoccate.


L'altare della cappella sin. è sormontato da una statua lignea policroma di S. Antonio da Padova, prima metà XVII sec.
Nell'urna vitrea dell'altare des. è esposta una statua lignea policroma della Vergine dormiente, inizio XVI sec.


Le cappelle laterali della navata, delimitate da cancelli in ferro battuto del XVII-XVIII sec., si aprono con un arco a sesto acuto.


Nella prima cappella, dedicata a S. Bernardino da Siena: affresco con il patrono fra i SS. Rocco e Sebastiano sulla parete di fondo, opera di un pittore lombardo, inizio XVI sec.; la parte inferiore esiste solo come sinopia; alla stessa mano sono attr. le sinopie coeve di quattro grandi affreschi incompiuti con Storie di S. Bernardino sulle pareti laterali.


Nella cappella di Francesco: decorazione della volta e delle pareti e altare tardobarocchi in stucco, XVIII sec.; pala raffigurante la Madonna col Bambino e i SS. Giovanni Battista e Francesco, inizio XVII sec.; sul piedritto della parasta des., affresco frammentario di una santa francescana, fine XVI­ inizio XVII sec.


La cappella dell'Immacolata contiene stucchi e affreschi dell'inizio del XVII sec.; sui pilastri e nel sottarco è dipinta una serie di santi francescani; nelle lunette, il Sogno e il Ritorno di Gioacchino; nelle cartelle delle vele, Storie della Vergine, accompagnate da putti.
Pala d'altare con l'Immacolata Concezione, attr. a Carlo Preda, 1690 ca. Tele con la Nascita della Vergine e la Presentazione al Tempio, XVI-XVII sec.


Sui piedritti tra le cappelle: due lapidi sepolcrali, 1629 e 1640.


Sulla parete des. della navata: pulpito in legno intagliato e scolpito, XVII sec.; tela raffigurante la Gloria di tre santi francescani, attr. a Giovan Battista Sacchi, prima metà XVIII sec., con una cornice lignea seicentesca; tela con il Crocifisso tra i SS. Bernardino da Siena e Giacomo della Marca, pure prima metà XVIII sec., in cornice lignea dorata e policroma, scolpita con scene della Passione di Cristo, seconda metà XVII sec. (inserti del 1927).


Acquasantiera in pietra scolpita, XVI-XVII sec.


La volta della chiesa conventuale è decorata da stelle e dal monogramma di Cristo.


Sulla cantoria lignea addossata al tramezzo sono dipinti angeli musicanti, prima metà XVIII sec.


Sulle vele dell'arco trionfale raffinati dipinti murali incompiuti dell'Annunciazione e sinopie dell'impianto prospettico, attr. a un pittore della cerchia di Ambrogio da Fossano detto il Borgognone, inizio XVI sec.


Sui piedritti : due grandi affreschi frammentari del tardo XVI sec. con le Stigmate di S Francesco e S. Bernardino da Siena.
Tele con la Natività della Vergine, 1730, e l'Estasi di S. Francesco, XVII sec.


Nel coro rimane un ciclo d'affreschi frammentario con Storie della Vergine, fine XVI sec., ai lati del dipinto murale con l'«Ecce homo»; sulla volta, quattro medaglioni con i padri della Chiesa; nel sottarco, profeti.


Elegante altare maggiore e balaustra barocchi in marmi policromi del 1738.
Sopra l'altare: crocifisso ligneo dello stesso scultore della Vergine dormiente, inizio XVI sec.
Stalli in legno intagliato e scolpito, inizio XVIII sec. Nuovo arredo liturgico. Davanti al coro, sotto i banchi: pietre tombali dei due pittori Gian Giacomo e Alessandro Gorla, morti rispettivamente nel 1586 e nel 1632.


Sul sagrato, a N della chiesa: statua di S. Francesco d'Assisi, 1924.


Ex convento dei francescani, addossato al fianco S della chiesa
Dal 1919 adibito a casa S. Francesco, recentemente restaurati. Ampliamenti del complesso negli anni '70 e '80 del XX sec.


Nel chiostro risalente alla fine del XV sec. e ampliato nel XVII sec. si conservano alcune colonne e capitelli originali.


I bracci N e E recano 36 affreschi votivi di gusto popolare, 1635-36, con Storie della vita di S. Francesco, recentemente restaurati. Ampliamenti del complesso negli anni '70 e '80 del XX sec.


Restauro iniziato nel 1997, dopo l'incendio del 1996.


Accanto alla chiesa sorge un edificio del 1932-33 con arcate a sesto acuto, progettato da Giuseppe Weith quale «conventino-ospizio dei Frati Francescani».




Fonte:
autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 31-34, Edizioni Casagrande, 604 pagine






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Piazza Collegiata



L’assetto attuale di Piazza della Collegiata, detta anche più semplicemente Piazza Grande, non richiama più l’aspetto antico, né esistono particolari menzioni medievali del luogo. Lo spiazzo, assai ridotto, prospiciente la chiesa era un tempo occupato dal cimitero e dal sagrato.


La piazza era anche chiusa verso l’attuale Viale della Stazione, costruito attorno al 1870 con l’avvento della ferrovia. Nel ’500 furono demolite a più riprese le case che impedivano la formazione del sagrato e l’accesso alla scalinata davanti alla chiesa in costruzione.


Le case settecentesche in stile perlopiù lombardo che si affacciano sulla piazza sono appartenute alle famiglie patrizie più in vista. Le facciate nascondono spesso eleganti loggiati e cortili interni. Le abitazioni hanno poi subito importanti ristrutturazioni nel corso del 1800, come il palazzo al n° 1 della piazza fatto costruire da Monsignor Carlo Chicherio, Arciprete di Bellinzona, poi appartenuta al Canonico Carlo Maria Chicherio segretario particolare di Papa Leone XII. Sono di quel periodo i busti della facciata. Curiosi e singolari sono i balconcini e veroncini in ferro battuto che fanno bella mostra da una parte e dall’altra della piazza. La loro perfezione tecnica e decorativa hanno più volte attirato l’attenzione degli storici dell’arte. Al n° 2 troviamo l’antica Casa Bruni, pure settecentesca, dalla facciata semplice e austera, ma che si sviluppa tutta in profondità con pianta irregolare imposta dalle esigenze del terreno e un ampio atrio che parte da tre colonne mediane. Sull’altro lato, al n° 5 la vecchia Casa Gabuzzi, con balconcini decorati e loggiato interno, al n° 7 l’antica Casa Chicherio, esempio tipico di casa signorile del ’700 bellinzonese a tre piani, ritmati da cornici e lesene che dividono la facciata in riquadri. Il corpo quadrangolare a torre serve da lanterna allo scalone centrale, non privo di imponenza.


I Visconti hanno visto crescere il piccolo Borgo di Bellinzona e lo hanno amato a tal punto da regalargli uno stemma simile a quello del loro casato:


un biscione a sette spire. Numerose sono le leggende sull’origine dello stemma visconteo. Una delle più note racconta che nel 1323 Milano era impegnata in una logorante guerra contro i fiorentini. Le truppe milanesi, capeggiate da Azzone Visconti, si erano accampate nei pressi di Pisa in un boschetto per riposare. Al risveglio il condottiero raccolse l’elmo abbandonato sull’erba lì accanto per metterlo e si accorse che una vipera si era annidata al suo interno. Avrebbe potuto morderlo, ma questa sgusciò da un’apertura e si allontanò. Per ricordare l’episodio, Azzone decise di rappresentare la vipera nello stemma di famiglia. Per sottolineare il suo comportamento innocuo, la fece dipingere con un bambino in bocca.



Fonte:
http://www.iperpaesaggi.ch/IMG/pdf/bellinzona_dieci_sguardi_sulla_citta_per_giocare_con _la_storia.pdf (consultato 23.05.2020)






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Bellinzona


[…]
Territorio


Bellinzona si estende nella parte centrale del Canton Ticino. In seguito all'aggregazione del 2017, con una superficie di 165,45 km² è diventata la più estesa tra le città svizzere di oltre 30'000 abitanti e il terzo comune più esteso tra i Comuni del Canton Ticino, dopo Blenio e Lavizzara. Fisicamente il centro principale del comune è costituito dal quartiere e città di Bellinzona corrispondente al relativo ex-territorio comunale (di circa 18'000 abitanti).


Il nuovo comune comprende pure ampie aree boschive, agricole e di montagna e alcune frazioni sono delle vere e proprie località staccate dall'ambito cittadino. A Bellinzona confluiscono e si diramano alcune tra le principali arterie stradali e autostradali, come la N2 Chiasso - Basilea, il passo del San Gottardo, il San Bernardino e alcuni passi secondari come il Lucomagno e la Novena. Bellinzona è anche uno snodo ferroviario principale per le merci e i viaggiatori sia a livello regionale, con i collegamenti in direzione di Locarno o Lugano, sia per il traffico nazionale e internazionale da e verso l'Italia (via Chiasso-Milano come pure via Luino). I collegamenti con la Svizzera tedesca attraverso la nuova trasversale alpina che collega Bellinzona a Lucerna, ha ridotto i tempi di viaggio per le merci e le persone avvicinando il nord al sud della Svizzera, come pure Milano a Zurigo e Stoccarda. Per il traffico merci ricopre una certa importanza anche la linea che da Bellinzona e attraverso Gambarogno collega Luino al terminal di Busto Arsizio-Gallarate. La vecchia linea ferroviaria di montagna è pure tuttora utilizzata dal traffico regionale, collegando paesi e regioni altrimenti tagliate fuori dal nuovo Tunnel ferroviario.


La Città comprende a sud-ovest del proprio territorio, nei quartieri di Sementina, Giubiasco, Camorino e Gudo, la parte nord del Piano di Magadino; una pianura a vocazione agricola frutto della bonifica avvenuta tra il 1888 e il 1961. Sino ad allora la pianura era una palude soggetta alle piene del Fiume Ticino e alla malaria, oggi è una fertile piana dedita principalmente alla coltivazione di ortaggi in serra e all'aperto, Granturco e allevamenti di bestiame, principalmente bovini e ovini.


Nel centro cittadino si erge la rocca di Castelgrande, uno sperone di roccia granitica che degrada in direzione nord-ovest verso il corso del Fiume Ticino e sul quale hanno trovato rifugio i primi abitanti stanziali durante il neolitico. Nel corso dei secoli, in considerazione dell'ottima posizione strategica e di controllo delle principali vie di transito da nord a sud, al riparo dal corso irregolare e dalle piene del Fiume Ticino, sulla rocca si stabilirono i primi villaggi, fortezze e armate fino al basso Medioevo, quando venne data forma all'attuale Castelgrande (castello) e al sistema di cinte murarie e castelli, Patrimonio UNESCO dell'umanità.


Il territorio ha assunto la sua conformazione odierna a partire da circa 10'000 anni fa, all'inizio del periodo olocene, in seguito al rientro dell'ultima glaciazione definita glaciazione Würm. Durante la massima espansione dell'ultimo periodo glaciale, 18.000 anni fa, l'attuale territorio di Bellinzona era sommerso sotto una coltre di ghiaccio di bronzo nel quartiere di Claro, muri e menhir, risalenti al 2'300-2'500 a.C., appartenenti a un probabile luogo di culto o sepoltura, hanno avvalorato la presenza di popolazioni stanziali nel comprensorio sin dal neolitico.


Essendo la zona posta all'ingresso delle valli che conducono ai principali valichi alpini: Lucomagno, San Bernardino, Passo San Jorio, Greina e il passo del San Gottardo ha da sempre attirato gli interessi militari e strategici delle diverse popolazioni che si sono succedute, in sequenza, sin dall'antichità: popoli neolitici, Cultura di Canegrate, Cultura di Golasecca (Leponzi e Insubri) e Romani.


Durante gli scavi condotti da Werner Meyer nel 1967, furono dissepolte le vestigia dell’antica cinta muraria edificata dai Romani, origine di quel Castrum Bilitio risalente alla metà del IV secolo. L'antico nome latino Bilitio non è mai stato ritrovato o citato in alcun documento storico di epoca romana e non esistono neppure fonti specifiche sulle popolazioni celtiche e preromane presenti in zona, come dimostrano invece le diverse necropoli affiorate nel comprensorio, anche in epoche recenti e che hanno permesso di migliorare la conoscenza sulle civiltà pre-romane che hanno colonizzato e abitato l'area. La prima necropoli rinvenuta ad inizio del XX secolo nel quartiere di Giubiasco rappresenta una sorta di stele di Rosetta per l'archeologia e la storia di Bellinzona e dell'intera regione; per l'ampiezza della necropoli, con le sue 557 sepolture accertate, e per l'importanza dei reperti rinvenuti sovrapponibili su più epoche, dall'età del bronzo, età del ferro, Cultura di La Tène ed Epoca romana. Nel 1969, durante uno scavo nella necropoli romana di Carasso, è stato invece rinvenuto un anello digitale in bronzo, il cui castone porta inciso il monogramma cristiano. Questo tipo di anello rappresenta una delle testimonianze più antiche del cristianesimo del Cantone Ticino e attesta quindi la presenza dei primi cristiani a Bellinzona, e nella regione, almeno dal IV secolo d.C. Dello stesso periodo storico è la moneta con l'effigie dell'imperatore Costantino ritrovata negli scavi condotti nel 1986, nel sagrato della Chiesa della vicina Sant'Antonino.


Se per vedere citata Bilitio in fonti storiche bisogna attendere il medioevo con il famoso commento di Gregorio di Tours, i Campi Canini, nei pressi di Bellinzona, sono per contro citati sin dall'epoca romana, in quanto teatro di innumerevoli battaglie documentate già a partire dal 355 d.C., quindi in corrispondenza archeologica con la prima cinta muraria romana edificata e ritrovata sulla rocca cittadina. In quell'anno l'Imperatore Costanzo II, figlio di Costantino il Grande, si mosse personalmente alla testa di una spedizione militare ai confini della Rezia contro i Lentiensi, popolazione di stirpe alemannica che insidiava le frontiere; come documentato dallo storico romano Ammiano Marcellino. Ammiano, infatti, cita:
"ad quem procinctum Imperator egressus, in Raetias camposque venit Caninos" "per partecipare alla spedizione l'imperatore usci da Milano e giunse nella Rezia, precisamente nei Campi Canini".


I Campi Canini vengono quindi definiti da Ammiano Marcellino come una località precisa seppur non ancora chiaramente circoscritta. Un'altra scorreria alemanna attraverso i passi retici venne fermata a Bellinzona, sempre all'altezza dei Campi Canini, dall'Imperatore Maggioriano nel 457 d.C., come riferito da Sidonio Apollinare, vescovo e scrittore dell'epoca:
"Conscenderat Alpes Raetorumque iugo per longa silentia ductus Romano exierat populato trux Alamannus perque Cani quondam dictos de nomine campos in praedam centum noviens dimiserat hostes"
"scesero le Alpi e i passi della Rezia novecento feroci Alamanni, lanciandosi in devastazioni e saccheggi attraverso i "Campi" detti "di Cano", da qualcuno che ebbe questo nome"


Vengono quindi fornite dal Vescovo Sidonio Apollinare indicazioni sull'origine stessa del nome e circoscritta in parte la loro posizione. Parecchio tempo dopo, nel XVII secolo, sarà il geografo e umanista Cluverio a riproporre l'episodio storico sul suo "Italia Antiqua, cum Sicilia, Sardinia & Corsica": "Essi (gli Alemanni), attraverso la Svizzera e il valico del San Gottardo, passate le Alpi scesero sul versante italiano e raggiunsero i Campi Canini".



Età medievale


In quest'epoca ricca di avvenimenti, Bellinzona si troverà al centro di contese, interessi militari e commerciali tra le potenze dell'epoca, che ne tracceranno i tratti distintivi ancora oggi visibili in talune opere militari, religiose e civili.


Nell'Alto Medioevo la transizione Gotica e Bizantina che seguì la caduta dell'Impero romano d'Occidente non ha lasciato tracce archeologiche e tanto meno testi scritti; bisognerà attendere l'arrivo dei Longobardi e la contesa con i Franchi per avere il primo riferimento storico su Bellinzona. La fortezza "ad Bilitionem" viene infatti nominata, per la prima volta, in un noto passo di Gregorio di Tours nella sua Historia Francorum, che descrive la calata, nel 590 d.C., dei franchi in discesa dal Lucomagno in guerra contro i longobardi asserragliati nella fortezza di Bellinzona. Gregorio precisamente, dopo avere nominato Milano, nel descrivere il luogo dove fu ucciso il combattente franco Olone scrisse:
"Olo autem dux ad Bilitionem huius urbis castrum, in campis situm Caninis, inportunae accedens, iaculo sub papilla sauciatus, cecidit et mortuus est" "infatti il comandante Olo, imprudentemente spintosi sotto il castello di Bellinzona, nei Campi Canini, fu ferito e mori"


Gregorio qualificava quindi Bellinzona come una fortezza appartenente alla città di Sant'Ambrogio.
Per delineare la storia e origini di un luogo, in particolare nell'antichità e nell'alto medioevo, si fa spesso riferimento ai luoghi di culto. L'originale Pieve di Bellinzona si trovava verosimilmente all'interno della Corte di Castelgrande, dove durante gli scavi archeologici del 1967 sono stati ritrovati i resti di un cimitero medievale cristiano. La prima trascrizione su pietra che parla di un luogo di culto a Bellinzona, già intitolato a San Pietro Patrono della Città, data il 1168, anche se la presenza cristiana a Bellinzona è attestata già in epoca romana (IV secolo d.C.). Gli scavi archeologici di Castelgrande hanno appurato tracce di un incendio sulle antiche mura, databile a ridosso dell'VIII secolo/IX secolo, in corrispondenza quindi con il periodo in cui i franchi spodestarono definitivamente i longobardi dalla penisola (774 d.C.).


Dopo la morte di Carlomagno (814 d.C.) l'impero carolingio andò rapidamente in frantumi.
Tra il 1002 e il 1004 i sovrani germanici successori di Carlomagno (Arduino ed Enrico II), cedettero al vescovo di Como tutto il Contado di Bellinzona (territorio delimitato a nord da Preonzo e Castione a sud da Gudo e Sant'Antonino. In questo periodo di Contado comasco, vi fu il passaggio attraverso il Passo del Lucomagno dell'esercito con a capo l'imperatore germanico del Sacro Romano Impero Federico I detto il Barbarossa, di cui Como, e di conseguenza Bellinzona, erano fedeli alleati. Nel 1176 d.C. il Barbarossa giunse quindi nella fortezza, per spostarsi poi nell'attuale Lombardia, dove perse la famosa battaglia di Legnano contro la Lega Lombarda, ponendo definitivamente fine ai sogni di gloria e di conquista militare di Federico I al sud delle Alpi. Contesa a lungo tra Como e Milano entra stabilmente nell'orbita milanese e viscontea a partire dal XIV secolo, Nel 1340 dopo un assedio di due mesi, infatti, l'esercito milanese costrinse alla resa gli irriducibili Rusca di Como e i loro fedelissimi, ancora asserragliati tra le mura dei castelli.


Dal bastione bellinzonese i Visconti controlleranno quindi l'importante Passo del San Gottardo, da poco reso valicabile, e tutti i principali passi allora transitabili. Risalgono a questo periodo, prima sotto il dominio Comasco dei Rusca e poi Visconteo, tra il XIV e il XV secolo, i tre stupendi castelli, simbolo stesso della città e le sue imponenti cinte murarie. Importanti palazzi, cinte murarie, abitazioni e tombe continuano a riaffiorare intanto in alcune zone riconosciute per la loro importanza archeologica, come ad esempio in zona Palasio nel quartiere di Giubiasco, a conferma di quanto la regione rappresentasse un importante crocevia commerciale, religioso e strategico del tardo medioevo.
In quest'epoca tumultuosa, i rudi montanari Svizzeri tentarono più volte d'insidiare il potere Visconteo di Bellinzona e d'impossessarsi della Città e manieri per controllare le vie di transito a sud dei passi alpini, vi riuscirono nel 1419, non con la forza delle armi, ma con l'acquisto dei castelli di Bellinzona ai Signori De Sacco, che ne erano in possesso dal 1403. Filippo Maria Visconti sentitosi minacciato da questa espansione e tentata inutilmente la via diplomatica ed economica, nella primavera del 1422 mise il comandante Francesco Bussone Conte di Carmagnola alla testa di un esercito di 16'000 soldati e decise di muovere battaglia per riconquistare Bellinzona e le valli limitrofe di Riviera, Leventina e Blenio. Gli svizzeri tentarono una reazione mettendo sotto assedio i castelli ma la battaglia di Arbedo, combattuta il 30 giugno 1422, ancora una volta ai Campi Canini, e la dura sconfitta dei confederati, sancì la definitiva riconquista di Bellinzona da parte del Ducato milanese almeno fino alla fine del Medioevo.


Non fu questo l'ultimo scontro tra il ducato e confederati che tornarono a fronteggiarsi nel 1449 nella battaglia di Castione, in cui gli svizzeri per evitare il massacro dovettero ripiegare velocemente verso la Mesolcina e, ancora, nel 1478 con l'assedio per 2 settimane di Bellinzona con saccheggi e devastazioni nei dintorni della fortezza. L'esercito confederato, probabilmente memore di quanto avvenuto nel 1422 ad opera del Carmagnola e nel 1449 con la battaglia di Castione, come pure a causa delle avverse condizioni meteorologiche di quel freddo dicembre del 1478, al sopraggiungere delle armate di rinforzo milanesi si ritirò oltre Gottardo. Una piccola guarnigione di confederati e leventinesi rimase a seguire le manovre del nemico, che nel frattempo decise di continuare la spedizione verso la vicina Riviera e la Leventina. Il 28 dicembre, con l'esercito ducale in difficoltà nelle strette valli ghiacciate e attraversate dal fiume Ticino, il piccolo contingente svizzero iniziò a colpire dall'alto con sassi e tronchi, mandando in rotta i ducali e dando vita a quella che ancora oggi è conosciuta come la battaglia dei sassi grossi di Giornico. Da allora il Ducato decise di rafforzare ulteriormente le difese di Bellinzona con la costruzione del Castello di Sasso Corbaro e di una nuova cinta muraria che lo collegasse al Castello di Montebello e Castelgrande (castello), impedendo l'aggiramento a monte del borgo fortificato e a cui fece seguito la costruzione del famoso ponte della Torretta, inaugurato nel 1489 da Ludovico il Moro in persona e ritenuto il più bel ponte lombardo dell'epoca.
Ancora pochi decenni e la storia avrebbe conosciuto una svolta fondamentale, con avvenimenti straordinari per la macro-storia mondiale e la storia di Bellinzona; il medioevo era agli sgoccioli.


Età moderna (da baliaggio a Cantone)
Agli albori dell'età moderna, Bellinzona viene citata e addirittura rappresentata iconograficamente, da uno dei principali geni dell'umanità: Nel XVI secolo descrivendo la strada e passo del San Jorio, Leonardo da Vinci nel suo Codice Atlantico ne fa un accenno: "... le montagne di Lecco e di Gravidonia, inverso Bellinzona ...", lasciando il sospetto che possa averla percorsa e vi sia giunto magari di passaggio. Un ulteriore accenno nel Codice Atlantico si riferisce alla frana del Crenone, allo sbarramento che ne conseguì e alla seguente nascita del lago di Malvaglia (1513 ca.) che, al cedimento della diga, il 22 maggio 1515, causò quell'evento catastrofico conosciuto come la buzza di Biasca. La catastrofe, con i suoi 600 morti e la distruzione del Ponte della Torretta, impressionò così tanto la gente dell'epoca e l'eco "mediatico" fu tale, che superò i confini regionali raggiungendo le corti europee. Fu verosimilmente Leonardo da Vinci a rappresentare la prima iconografia dell'evento nel suo Codice Windsor.


Alberto Vignati, cartografo militare lodigiano all'inizio del Cinquecento conferma "la distanza di 16 miglia tra Dunc e Berinzona, al passo vi si può accedere anche da Gravadona, il numero di cavalli che possono alloggiare in ciascuna stazione intermedia e le distanze intercorrenti".


Nel 1499, in seguito alle complesse vicende politico-militari del Ducato di Milano, Bellinzona cade dapprima preda dei francesi e da lì a poco in mano agli svizzeri. Infatti in quel settembre di fine secolo, il re di Francia Luigi XII conquistò la Lombardia e le Terre ticinesi perché si considerava l'erede del ducato. I Francesi inviarono soldati e occuparono anche i Castelli di Bellinzona; un anno dopo, nel 1500, Ludovico il Moro riconquistò temporaneamente Milano, i Bellinzonesi fedelissimi di Ludovico, approfittando del momento propizio e con i francesi verosimilmente concentrati a ricacciare i ducali da Milano, si ribellarono allontanando gli occupanti e asserragliandosi all'interno degli inespugnabili castelli. Ludovico Maria Sforza venne in seguito sconfitto dai francesi a Novara, tentò di ripiegare confondendosi con le truppe in ritirata verso Bellinzona, ma fu tradito da un mercenario Confederato, catturato e trasferito prigioniero in Francia. Le autorità locali bellinzonesi decisero quindi di chiedere aiuto e protezione agli Svizzeri. Uri, Svitto e Untervaldo, che guardavano a Bellinzona da tempo, furono ben lieti di assoggettare il borgo e impossessarsi delle fortezze militari. Più tardi, per la precisione nel 1503, il re di Francia riconobbe ai tre cantoni primitivi il possesso di Bellinzona, della Riviera e di Blenio. Il passaggio dalla dominazione milanese a quella confederata avvenne quindi alla fine del medioevo, quando il ducato milanese era sulla via del tramonto.
Bellinzona divenne così la testa di ponte militare dei confederati e del loro tentativo di espansione in Lombardia, che dopo qualche anno, nel 1515, sfocerà nella famosa battaglia di Marignano, che sancì la fine delle mire espansionistiche verso sud dei Confederati.


I Confederati, verosimilmente per consolidare la propria presenza nel loro nuovo dominio a sud delle alpi, affermando il controllo economico e per agevolare gli scambi commerciali con i potenti Stati del nord Italia, attivarono una Zecca in Città. La stessa rimase attiva dal 1503, anno del riconoscimento da parte della Francia del dominio bellinzonese ai tre Cantoni primitivi, fino al 1529 e batteva moneta per conto di Uri, Svitto e Untervaldo. Le monete erano ispirate a quelle utilizzate nel Ducato di Milano, poiché da utilizzare prevalentemente negli scambi con lo stesso Ducato e con la Repubblica di Venezia. I pezzi più conosciuti sono il Bissolo, che veniva usato anche nella regione, e il Grosso, pezzo unico facente parte dei rari esemplari utilizzati anche a nord delle alpi e acquistato nel 2018 dal Cantone.


Intorno al 1600 il Bilitio Castrum viene citato dal geografo e umanista Philip Clüver: "BILITIO castrum, sive castellum hodieque in radicibus Alpium Raeticarum supra lacum Verbanum, qui vulgo dicitur adcolis Lago Maggiore, ad Ticinum amnem situm, detorto paullüm vocabulo dicitur Belizona"
"Il centro fortificato, o castello di BILITIO, ai piedi delle Alpi retiche, sopra il Lago Maggiore, sito sul fiume Ticino, e oggi denominato Bellinzona"


La città rimarrà controllata come baliaggio (una specie di colonia) fino alla fine del '700, quando l'intervento di Napoleone e una serie di rivolgimenti interni portano nel 1798 alla nascita del Cantone di Bellinzona, comprendente tutto il Bellinzonese e le Tre Valli, all'interno della Repubblica elvetica. Successivamente, nel 1803 il nuovo cantone fu unito con il Cantone di Lugano per formare l'attuale Canton Ticino, di cui Bellinzona divenne la capitale. Dopo il 1815 tale ruolo sarà attribuito invece a turno anche a Locarno e Lugano.
Soltanto nel 1878, non senza diatribe, Bellinzona diventa definitivamente sede del governo cantonale ticinese.


XIX secolo


Nell'Ottocento il Ticino era un'isola repubblicana e democratica nella Lombardia sotto dominio austro-ungarico, i rapporti diplomatici tra Svizzera, Canton Ticino e Austria non erano propriamente amichevoli, infatti il Ticino ospitava un numero cospicuo di dissidenti liberali e anti-austriaci lombardi. La tensione salì quando il Ticino espulse 22 frati cappuccini lombardi accusati di spionaggio e gli austriaci, in risposta, rimpatriarono 6'000 ticinesi emigrati in Lombardia per lavorare, imponendo pure un blocco commerciale. Nel 1853, per fare fronte a questo difficile periodo per il Ticino e il suo popolo, la Confederazione decise di investire in opere pubbliche e fortificazioni militari a sud delle Alpi, prese così forma tra Camorino, Giubiasco e Sementina, la linea di difesa dei cosiddetti Fortini della fame, che avevano il doppio ruolo di fornire lavoro ai disoccupati e fungere da deterrente ad un'eventuale invasione austriaca da sud.


Se la prima metà dell'ottocento presentava ancora caratteri prevalentemente agricoli e sotto certi versi primitivi, con povertà e mortalità infantile molto diffuse, centri abitati distanti in media 5Km l'uno dall'altro e poca o nessuna alfabetizzazione, con l'arrivo della ferrovia il Ticino intraprende un nuovo corso battezzando di fatto l'inizio dello sviluppo industriale. La prima ferrovia aperta attraverso le Alpi con un tunnel di 15 Km, un'opera faraonica per l'epoca, fu infatti quella del Gottardo nel 1882, mentre la prima tratta ferroviaria arriva in Città nel 1874 con l'apertura delle tratte Bellinzona-Biasca e Bellinzona-Locarno. Il simbolo del nuovo profilo industriale di Bellinzona fu idealmente rappresentato dalle Officine, un centro specializzato nella manutenzione di carri e locomotive ferroviarie, che avviarono la loro attività nel 1874 nell'attuale deposito locomotive e, in seguito alla necessità d'ampliamento, nei nuovi capannoni terminati nel 1899; stabilimenti in cui le Officine sono ancora oggi attive.


La ferrovia prima e le strade in seguito, rappresenteranno quindi per anni e fino ai nostri giorni le colonne di una nuova economia, che farà di Bellinzona la porta meridionale delle alpi occidentali per le persone e le merci, un po' come avveniva in epoca antica e nel medioevo, ma ora su vasta scala e con tempi di percorrenza sempre minori.


Prima e seconda guerra mondiale


Durante la prima guerra mondiale la Svizzera, seppure dichiaratasi neutrale, pensò bene di mobilitare l'esercito preparandosi al peggio; in questo senso Bellinzona avrebbe rappresentato ancora una volta un importante caposaldo militare, per contrastare eventuali tentativi d'invasione che provenissero dal Regno d'Italia.


Nella seconda guerra mondiale i proclami propagandistici di Mussolini e del fascismo sull'annessione dei territori della linea alpina (Ticino, Grigioni, Vallese), ritenuti linea naturale del confine italiano e il piano di conquista della VI armata del Po, preoccupavano e facevano supporre ancora una volta un tentativo d'invasione. Nel 1939 iniziano quindi gli studi delle opere per la creazione di una linea di difesa che in seguito assumerà il nome di copertura LONA (LOdrino-OsogNA)). La linea, un complesso di fortificazioni e uno sbarramento anticarro di vallata è stata quindi costituita a Riviera, tra Bellinzona e Biasca.


I nostri giorni


Bellinzona ci regala oggi una delle più significative testimonianze in fatto di architettura difensiva dell'area alpina. entusiasma gli ospiti moderni con castelli, merli e mura, il tutto accuratamente restaurato e integrato nel suo nucleo storico.


A partire dalla seconda metà del Novecento l’area urbana di Bellinzona ha superato i confini cittadini, abbracciando gran parte l'agglomerato. La Città ha lentamente rafforzato il suo ruolo come polo di sviluppo, non solo del Bellinzonese, ma anche della vicina Riviera e del Moesano.


Nel novembre 2012, a Sementina, 17 Municipi del Comuni del Bellinzonese, escluso Isone, con l'aggiunta di Claro (distretto di Riviera), hanno sottoscritto l'istanza formale di aggregazione indirizzata al Consiglio di Stato, così come prevede la Legge sull'aggregazione dei Comuni.


Il Consiglio di Stato ha nominato la Commissione di studio incaricata di elaborare il progetto che sarebbe stato sottoposto alla popolazione dei Comuni interessati in votazione consultiva. La legge stabilisce quindi che sulla base dell'esito di tale voto, il Consiglio di Stato licenzi un messaggio governativo all'indirizzo del Gran Consiglio, cui compete formalmente la decisione per l'aggregazione di Comuni. Il 18 ottobre 2015 è avvenuta la votazione consultiva nei comuni interessati dal progetto.


Dei 17 comuni che hanno partecipato al progetto aggregativo, in 13 si è avuto esito positivo: Bellinzona, Camorino, Claro, Giubiasco, Gnosca, Gorduno, Gudo, Moleno, Monte Carasso, Pianezzo, Preonzo, Sant'Antonio e Sementina. Mentre quattro comuni hanno votato per restare indipendenti: Arbedo-Castione, Cadenazzo, Lumino e Sant'Antonino.


Dopo l'avallo alla fusione del Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone Ticino vi è stato il ricorso al Tribunale Federale da parte di alcuni cittadini, che ritenevano nullo il voto essendo lo stesso vincolato all'aggregazione a 17 anziché a 13 comuni, come invece scaturito dalle urne. Il Tribunale Federale, con sentenza del 17 novembre 2016, ha respinto definitivamente il ricorso contro l'aggregazione dei 13 comuni. Il voto comunale per definire la composizione del nuovo Municipio e Consiglio comunale ha avuto luogo il 2 aprile 2017, è nata quindi una realtà urbana con una popolazione di 42'084 abitanti, dodicesima città Svizzera.
[…]


Stemma araldico


Lo stemma araldico di Bellinzona, costituito da un «biscione bianco in campo rosso», è legato a doppio filo alla dominazione milanese: alla Città di Sant'Ambrogio deve infatti il biscione visconteo a sette spire che la rappresenta. Secondo gli storici, l’antico stemma della città era formato da tre soffietti, tri bofitt in dialetto bellinzonese (attrezzi per attizzare il fuoco), indicanti i venti del nord, nord-est e sud-ovest convergenti al centro dov'era posizionata una grande lettera B, indicante il toponimo. In epoca viscontea venne sostituito dalla nota “vipera” o “biscione” di quel casato, che in epoca svizzera venne privato della corona ducale e del fanciullo in bocca. Esiste, invero poco conosciuto, un antico stemma in rappresentanza del circondario (distretto) di Bellinzona con due rami di quercia ai lati e il fascio consolare al centro sormontato, al posto della scure, da un copricapo del Guglielmo Tell.
[…]



Fonte:
Estratti da https://it.wikipedia.org/wiki/Bellinzona (consultato 19.5.2020)



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Piazza Nosetto



Menzionata in un documento del 1286 come platea de Noxeto de Birinzona, la piazza era il punto dal quale si irradiavano le principali vie di transito cittadine: Via Nosetto che portava al quartiere di Codeborgo e alla porta settentrionale, Via Camminata (o Caminada) che si snodava verso meridione fino alla porta omonima, nota in seguito come Porta Lugano, e l’attuale Via Teatro che, attraverso la Contrada de Sansa e la successiva Porta Nuova, conduceva al fiume Ticino e a Locarno.


Piazza Nosetto, cuore pulsante della città, è ancora oggi il fulcro del pittoresco mercato del sabato mattina e punto di partenza dei festeggiamenti del carnevale Rabadan.


Secondo alcuni il nome della piazza deriverebbe dal latino nucetum, terreno piantato a noci. Nel suo libro Briciole di storia bellinzonese Giuseppe Pometta afferma che un tempo qui sorgeva un intero gruppo di questi alberi;* pur non disponendo di prove documentarie inoppugnabili, lo storico valmaggese cita due argomenti a favore di questa tesi: la prossimità della dimora dei Cusa, famiglia menzionata a Bellinzona sin dal 1274, il cui nome trarrebbe origine dal dialettale cüs, scoiattolo, e la vicinanza della Contrada de Sansa, sede dei frantoi per la produzione dell’olio di noce. In una pagina di Briciole di storia bellinzonese, pubblicata nel maggio del 1928, il Pometta immagina gli scoiattoli dello stemma dei Cusa balzarne fuori per scorrazzare tra i rami del noceto alla ricerca dei gherigli destinati ai vicini torchi. Non tutti, però, concordano con questa spiegazione. Alcuni, per esempio, dubitano che il nome Nosetto derivi dal latino e si domandano se esso non sia semplicemente l’italianizzazione del dialettale nuset, “piccolo noce”. In assenza di chiare prove documentarie è difficile stabilire quale sia l’opinione corretta.


Detto ciò, proseguiamo la nostra visita alla piazza, facendo sosta nei pressi di quello che oggi è il numero civico 4. Nel Quattrocento qui si ergeva un palazzo appartenente ai Ghiringhelli, importante famiglia notarile originaria della Lombardia. Tra il 1475 e il 1480 i proprietari fecero adornare il soffitto della sala nobile con pregevoli tavolette dipinte, attualmente conservate nel Museo storico artistico di Castelgrande. Nell’Ottocento il palazzo divenne parte dell’Albergo del Cervo. Anche qui la storia ha lasciato dietro di sé alcune tracce che ci apprestiamo a scoprire.


A Palazzo civico, nel graffito intitolato Il Municipio demolito nell’anno 1924, è visibile l’insegna bronzea dell’ottocentesco Albergo del Cervo, che si ergeva là dove oggi vi sono i numeri civici 3 e 4. Una quindicina d’anni prima che il Carugo eseguisse questo graffito, nell’Albergo del Cervo era stato inaugurato un salone per danze, che nel 1913 lasciò il posto a una sala cinematografica. L’otto settembre 1917 fu aperto il nuovo cinema Cervo, che tre anni dopo fu chiamato Centrale.
Albergo e cinema sono spariti da tempo, ma l’insegna è ancora là. Il cervo sembra osservare con aria compiaciuta la vita che da due secoli scorre sotto i suoi occhi bronzei. Lo sovrastano una corona e tre emblemi: un toro, una croce e la chiave di San Pietro a doppio pettine, simboli che fregiano le bandiere di Uri, Svitto e Unterwalden. Si conclude così la nostra visita a Piazza Nosetto. Il nostro viaggio spazio-temporale alla scoperta dei tesori bellinzonesi continuerà presto con una nuova tappa: Piazza Collegiata.


Nota
* Pometta, Giuseppe. Briciole di storia bellinzonese, Arti grafiche Arturo Salvioni & Co., Bellinzona, serie I, 12 giugno 1927, n° 5, p. 177.



Fonte:
Estratto dal testo “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.





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Piazza Indipendenza



Piazza Indipendenza, un tempo Piazza San Rocco, si estende a meridione del centro storico della città, oltre quella che un tempo era detta Porta Caminada o Lugano. Deve il suo nome all’obelisco eretto nel 1903 per commemorare il centenario dell’indipendenza del Cantone Ticino e il suo ingresso nella Confederazione.


L’obelisco, un monolito di granito bianco della Verzasca, poggia su un basamento di granito bruno di Castione, sul quale è incisa un’epigrafe tratta dal Guglielmo Tell di Friedrich Schiller: «Esser vogliamo un indiviso popolo di fratelli, eternamente stretti nella sventura e nel periglio, liberi come gli avi e pria la morte che vivendo il servaggio».


Quattro bassorilievi bronzei, opera dello scultore Natale Albisetti, ornano i lati del piedistallo: quello verso Via Dogana raffigura La Svizzera che accoglie il giovane Ticino. Gli altri, in senso orario, rappresentano la Giustizia, l’Abbondanza e la Pace.


La prospiciente chiesa di San Rocco fu edificata sulle fondamenta di un luogo di culto dedicato a Santa Maria del Ponte, fondato nel 1330 da Jacopo Cattaneo, ma demolito nel 1478 per consentire la costruzione del rivellino di Porta Caminada.


Nel 1583 la confraternita di San Rocco si insediò nella nuova chiesa. I lavori di restauro, avvenuti negli anni 1926-1928 su progetto di Giuseppe Weith, ne modificarono l’aspetto esteriore: il campanile fu alzato e la facciata fu decorata con affreschi di Carlo Bonafedi raffiguranti San Rocco e la Madonna tra i Santi Pietro e Stefano.


La piazza conserva alcune tracce del suo passato. Il graffito Bellinzona alla fine del 1700 mostra la cinta muraria, che da Montebello scendeva ad abbracciare i quartieri a mezzogiorno di Piazza Nosetto.


Il rivellino a pianta triangolare che proteggeva Porta Caminada fu abbattuto nel 1810. Sei anni dopo fu demolita anche la porta. Ricostruita in stile neoclassico, è raffigurata nell’incisione Porta Caminada o di Lugano Pza St Rocco nel 1800. Questo graffito mostra anche i due accessi laterali aperti per facilitare il transito pedonale. All’interno della porta vi erano guide che consentivano l’inserimento di tavole atte ad arginare le piene del torrente Dragonato, le cui acque flagellavano spesso i quartieri meridionali della città. Nel 1860 anche questa porta fu demolita.* Alla distruzione sfuggì un solo pilastro, raffigurato all’angolo dell’Hotel de l’Ange nel graffito Piazza S. Rocco e Via Camminata verso il 1860 dopo la demolizione della seconda Porta Lugano. Inosservato ai più, da oltre un secolo e mezzo continua a sorvegliare l’ingresso di Via Camminata.


L’antica cinta muraria meridionale prosegue lungo Via Dogana fino al varco aperto nel 1925 per consentire l’accesso alla corte del Municipio. Sopra di esso vi è uno stemma marmoreo di Filippo Maria Visconti, forse proveniente dal vecchio Palazzo civico.
L’adiacente tratto di mura fu ricostruito da Giuseppe Weith nel 1939, quattro anni dopo l’incendio che distrusse l’edificio delle Dogane. Poco oltre la cinta muraria si interrompe, ma il suo tracciato è ancora visibile nella pavimentazione stradale, evidenziato da cubetti di granito grigio che da Via Dogana conducono a Via Bonzanigo e a Piazza Teatro.


Nota
* Secondo L’Inventario Svizzero di Architettura (INSA) la demolizione fu decisa nel 1857, ma eseguita nel 1860.



Fonte:
Testo “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.



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Piazza del Sole



Piazza del Sole deve il suo nome a un caffè, rimasto aperto fino agli anni Cinquanta, il quale aveva come insegna un disco solare di ferro battuto. Un tempo questa zona pianeggiante, esterna al perimetro urbano, era un vasto e malsano acquitrino soggetto ai periodici straripamenti del fiume Ticino e del torrente di Daro, le cui acque scorrevano nel fossato che proteggeva la cinta muraria. Nel Settecento l’area fu bonificata e venne chiamata Piazza a Porta Ticinese. Nel suo centro sorse un piccolo quartiere. Altre case furono costruite a ridosso della rocca di Castelgrande e lungo le mura.


L’odierna piazza, progettata e realizzata dall’architetto Livio Vacchini, si contraddistingue per la linearità del disegno e l’essenzialità dei pozzi d’accesso all’autosilo sottostante. È un quadrato di sessanta metri di lato, ai cui vertici si alzano quattro corpi di cemento che celano i condotti d’aerazione e gli accessi all’autosilo. Questi volumi sono sezioni di piramidi rovesciate, il cui ipotetico vertice inferiore, se costruito, avrebbe raggiunto l’ultimo piano interrato. La piazza si trova quaranta centimetri sotto il livello stradale. Vi si accede mediante i gradini posti ai lati o tramite le rampe situate agli angoli. La pavimentazione di cemento è movimentata da lastre quadrate di granito grigio di quarantatré centimetri di lato, che creano sorprendenti effetti ottici. L’illuminazione è assicurata da un faro simile a quelli usati negli stadi: quattro lampade proiettano la luce su uno specchio che la diffonde in modo omogeneo sull’intera piazza. La cinta muraria, che chiude il lato meridionale della piazza, segue un percorso piuttosto rettilineo, che cela alcune sorprese. Scopriamole con l’aiuto delle incisioni di Baldo Carugo.


Nel graffito Porta Codeborgo o Tedesca Pza del Sole nel 1500, conservato nella corte di Palazzo civico, si vede la cinta muraria settentrionale scendere dal castello di Montebello, serrare la valle e saldarsi alla rocca di Castelgrande. La porta è protetta da una torre, un fossato e un rivellino. Tre secoli dopo (Porta Codeborgo o Tedesca Pza del Sole nel 1800) rivellino e fossato sono scomparsi. Nel 1824 anche la porta fu abbattuta. Ricostruita in stile neoclassico, venne definitivamente demolita nel 1857. Di questo mondo scomparso permangono, però, alcune tracce: per trovarle bisogna scendere al primo livello sotterraneo dell’autosilo, utilizzando l’entrata all’imbocco di Via Codeborgo. Appena giunti al piano, sulla destra, vi è una vetrinetta con un pannello intitolato Codeborgo: porta, torre e rivellino. Esso contiene notizie sulle scoperte archeologiche fatte durante gli scavi compiuti tra il 1996 e il 1997. Le spiegazioni sono corredate da un piano topografico, una ricostruzione del rivellino e alcune fotografie che permettono di visualizzare l’antico aspetto di quest’area.


Porta Tedesca era difesa da un robusto rivellino a pianta pentagonale, costruito nel 1470 su un isolotto attorno al quale scorrevano le acque del fossato. Qui le sentinelle controllavano l’identità dei forestieri e riscuotevano i pedaggi di transito. Espletate queste formalità, i visitatori potevano attraversare il ponte levatoio che dava sulla porta d’accesso alla città.
Per il viandante che proveniva da settentrione il primo colpo d’occhio su Bellinzona doveva essere impressionante, come testimonia il dipinto di Leonhard Steiner, intitolato Bellinzona nel 1500: una brulla piana acquitrinosa con rari alberi e senza costruzioni, dietro la quale si stagliavano le minacciose sagome di mura merlate e torri.


Osservando il tratto di cinta muraria che delimita il lato meridionale di Piazza del Sole, si vedono chiaramente i segni delle opere di consolidamento volute dagli Sforza. Incorporati nelle mura attuali, si distinguono i merli ghibellini della cinta originaria, la quale essendo poco piú alta di un parapetto, costituiva un’insufficiente barriera contro gli assalti delle truppe confederate.


Con l’esame di questo tratto di mura termina la nostra visita ai quartieri settentrionali del nucleo urbano medievale.


Torniamo, perciò, sui nostri passi ripercorrendo Via Codeborgo e Via Camminata sino ad arrivare a Piazza Indipendenza, meta della nostra prossima visita.



Fonte:
“Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.





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Piazza Governo



Piazza Governo è chiamata così per la presenza del Palazzo del Governo ticinese. Dopo l’Indipendenza (1803), la Costituzione Cantonale nel 1814, impose al Ticino tre capitali: Lugano, Locarno e Bellinzona, a turni di sei anni ciascuna.


Nel 1878, per votazione popolare, Bellinzona divenne capitale stabile del Cantone.


Il Governo è costituito dal Gran Consiglio (potere legislativo, 90 membri eletti ogni quattro anni) e dal Consiglio di Stato (potere esecutivo, 5 membri eletti ogni 4 anni).


La contrada, di cui fa parte Piazza Teatro, chiamata “de sanxa”, era la zona dei torchi, dove si estraeva un olio prezioso e utile: l’olio di noci. Con l’apertura della Porta Nuova, prese questo nome, poi Porta Locarno e dalla metà del 1800 quello attuale. Porta Nuova, aperta intorno al 1430 e munita di torre e ponte levatoio, era una delle tre del Borgo. Sul selciato della piazza, in porfido rosso, si può seguire in porfido grigio, il perimetro delle mura di cinta sud - occidentali, abbattute nella prima metà del 1800. I suoi sassi servirono alla bonifica dell’antico fossato, adiacente alle mura, e alla costruzione del Teatro Sociale, da cui il nome della Piazza.


La sede del Governo fu monastero delle suore Orsoline dal 1743 al 1848. Il convento venne poi trasformato in Palazzo Governativo, con la costruzione di un’ala a sud, al primo piano, per la Sala del Gran Consiglio e la creazione di una piazza davanti all’ala est, nell’ex chiostro. Seguirono importanti lavori di ampliamento, l’ultimo dei quali è stato il rinnovamento della sede del Parlamento Cantonale, inaugurata nel 2003, durante i festeggiamenti per il bicentenario dell’Indipendenza del Ticino. Nel 1600 sorsero nelle grandi città europee i primi teatri d’opera pubblici. Prima solo nobili e ricchi potevano accogliere compagnie di artisti nei propri teatri di corte. All’inizio del 1800 si moltiplicano nelle città europee edifici teatrali accessibili a ogni ceto sociale. Nei centri minori, i benestanti costituivano delle società per far erigere a proprie spese un “Teatro Sociale”. A Bellinzona, fu costruito nel 1847 su progetto dell’architetto milanese Giacomo Moraglia, che adottò la struttura a ferro di cavallo come la Scala di Milano (1776-78). Inaugurato il 26 dicembre del 1847, aveva la capienza di 700 spettatori.


Nel giardino davanti all’entrata della sede governativa è collocata una fontana: “La Foca”. Non si conosce il motivo che ha spinto lo scultore Remo Rossi a realizzare questo mammifero marino, in granito nero levigato, ma potrebbe essere stata la particolare forma del pezzo di pietra. Sta di fatto che a
Bellinzona, Piazza Governo è chiamata oggi più comunemente “Piazza della Foca”! Già nei mesi precedenti all’apertura, il Teatro Sociale fu prestato alle milizie locali per il deposito di armi e munizioni (era in corso fra i cantoni svizzeri la guerra del Sonderbund). A partire dal 1850, il teatro fu frequentato soprattutto per veglioni in maschera e feste danzanti. Un secolo dopo fu trasformato in sala cinematografica e nel 1971 fu chiuso per abbandono e degrado. Dopo oltre vent’anni, grazie ai restauri ultimati nel 1997, il Sociale è tornato all’antico splendore. Insieme al Casino Théâtre di La Chaux-de Fonds (1835-37) rappresenta l’unico esempio di “teatro all’italiana” esistente in Svizzera.





Fonte:
http://www.iperpaesaggi.ch/IMG/pdf/bellinzona_dieci_sguardi_sulla_citta_per_giocare_con_la_storia.pdf (consultato 23.05.2020



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Palazzo civico



Nel 1925 il pittore Baldo Carugo ricevette dal Municipio di Bellinzona l’incarico di decorare i loggiati della corte interna del nuovo Palazzo civico.


Negli anni successivi, e sino al 1928, l’artista eseguì con la tecnica del graffito ventisei vedute della città, che ne evocano la storia dal Quattrocento in poi, in un lavoro che unisce elementi di fantasia ad altri fondati sugli studi e i rilevamenti dell’ingegner Giuseppe Weith, capomastro e tecnico comunale. I graffiti del Carugo costituiscono, pertanto, il punto di partenza ideale per un viaggio alla scoperta di Bellinzona.


Il Palazzo civico
Quattro dei ventisei graffiti raffigurano il Palazzo civico e Piazza Nosetto, duecentesco fulcro del nascente borgo di Bellinzona e sede del cosiddetto copertum iuris, una sorta di arengo aperto ai lati, nel quale si amministrava la giustizia. Costruito dopo la conquista milanese del 1340, il “coperto” sorgeva al centro della piazza.


Con l’edificazione della successiva Casa comunale esso cadde in disuso. Nel 1468 Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, ne autorizzò la demolizione, ma Branda dei Pusterla, podestà di Bellinzona, ignorò il rescritto ducale. La situazione rimase inalterata fino al 24 febbraio 1471, quando il Consiglio comunale con diciotto voti favorevoli e otto contrari decise l’abbattimento della struttura.


Il graffito La Piazza Nosetto sulla fine del XV secolo (foto 1) mostra due fabbricati contigui, accuratamente descritti in un repertorio dei beni mobili e immobili di Bellinzona, conservato nell’archivio comunale e citato da Emilio Motta nel Bollettino storico della Svizzera Italiana.1 Secondo questo volume, vergato alla fine del quattordicesimo secolo con glosse fino al 1591, il primo edificio a sinistra era la casa comunale, mentre l’altro era la dimora del podestà. Al centro della piazza è raffigurato l’antico pozzo cittadino.


Tra il 1460 e il 1480, come mostra il successivo graffito del Carugo (foto 2), il Palazzo del Comune fu ricostruito e ampliato. In seguito venne edificata la torre sulla quale nel 1494 fu issata la campana che ancor oggi scandisce le ore. All’inizio del Cinquecento gli Svizzeri si impadronirono della città. La conquista, sancita nel 1503 con la pace di Arona, riconobbe ai Cantoni Uri, Svitto e Unterwalden la proprietà del feudo imperiale di Bellinzona.


Alcune modifiche apportate al Palazzo del Comune nei secoli successivi sono attestate nella terza veduta incisa dal Carugo (foto 3), che mostra un balconcino di ferro battuto e le finestre rettangolari aperte nel 1756. In seguito l’edificio fu alzato di un piano e così rimase fino al 1924, anno nel quale fu demolito. Il progetto dell’attuale Palazzo civico fu relaborato negli anni 1921-1923 dall’architetto Enea Tallone, lo stesso che una ventina d’anni prima aveva partecipato al restauro integrativo del castello di Montebello.
In questa impresa diedero un importante contributo il pittore Edoardo Berta e alcuni intellettuali, come i fratelli Egidio e Giuseppe Pometta. La direzione dei lavori, iniziati alla fine del 1923, fu affidata agli ingegneri Rocco Bonzanigo e Giuseppe Weith.


L’edificio, costruito in granito di Osogna con profili in calcare di Castione, ha pianta quadrangolare con corte interna scandita da logge ad archi. Ai piani superiori si accede mediante uno scalone decorato da quattro vetrate istoriate, opera del vetraio bellinzonese Emilio Mariotti su disegno di Augusto Sartori, pittore di Giubiasco. Esse rappresentano due soggetti popolari, la Filatrice e il Pastorello (foto 4), e due storici, Giovanni Molo, cancelliere di Francesco Sforza, e Ludovico il Moro, duca di Milano. Per una corretta rappresentazione dei soggetti medievali Augusto Sartori si avvalse della consulenza dello storico Eligio Pometta, al quale si deve la scritta latina, relativa alla costruzione del ponte sul Ticino, leggibile sulla carta posata sullo scrittoio del cancelliere. Ludovico il Moro, dal canto suo, è rappresentato mentre regge con la mano destra un foglio sul quale si intravede un disegno dello stesso ponte.


Al primo piano del Palazzo civico si trovano la sala del Municipio (foto 6) e la sala patriziale (foto 7), dotate entrambi di monumentali camini di pietra. Le pareti sono rivestite di legno e dai soffitti a cassettoni pendono lampadari di ferro battuto. Il legname per il tavolo e le sedie della sala municipale fu ricavato da un’enorme trave di noce, recante la data del 1624 e proveniente dall’antico torchio comunale di Monte Carasso.


La sala del Consiglio comunale, situata al secondo piano, ha il soffitto di legno e le pareti decorate con graffiti che imitano la tappezzeria murale (foto 8). A tergo del seggio presidenziale vi è l’opera intitolata Bellinzona alla fine del 1700, eseguita nel 1941 con la tecnica del graffito da Giuseppe Poretti e Taddeo Carloni su disegno di Baldo Carugo.
Sulla parete opposta campeggia, invece, una tela ad olio, opera del pittore veneziano Pompeo Molmenti, raffigurante Otello che riceve la bandiera dalle mani del Doge. La tela è un dono del banchiere Adolfo Rossi, la cui collezione d’arte costituì il primo nucleo di quello che divenne il Museo Villa dei Cedri.


Nel loggiato del secondo piano si possono ammirare frammenti degli affreschi rinascimentali che decoravano l’antico Municipio.


La torre campanaria, inaccessibile al pubblico, si staglia nel cielo con i suoi trenta metri d’altezza (foto 9). Al suo interno si cela un meccanismo orologiero collegato a un concerto di campane proveniente dalla torre del precedente edificio. Nel nuovo palazzo vi sono alcune sorprendenti tracce delle antiche costruzioni. Cerchiamole assieme.


Nel graffito Il Municipio verso il 1500 si vede la quattrocentesca porta d’accesso alla torre campanaria. Oggi i suoi stipiti e l’architrave di granito adornano il muro occidentale della corte interna del Palazzo civico, dove incorniciano una fontanella (foto 10). Nella lunetta sopra l’architrave spiccano tre lunghi chiodi disposti a raggiera con le punte rivolte verso il basso, possibile allusione al soprannome Ciòd, dato ai Bellinzonesi.


Proseguendo nella nostra ricerca, usciamo dalla corte interna del Municipio imboccando il passaggio che immette in Piazza Nosetto. Sotto i portici verso Via Teatro, murata nella parete, c’è un’antica grata metallica che per dimensioni e ubicazione ricorda quella che appare nel graffito Il Municipio verso il 1500. La stessa inferriata (foto 11) è riprodotta anche in un disegno del 1924, firmato da Giuseppe Weith e intitolato Bellinzona, il broletto nel 1300. Ricostruzione cogli elementi rintracciati nella demolizione.2 Sulla stessa facciata, inserito nel muro accanto alla porta d’entrata della Farmacia Nazionale, vi è il fusto di un pilastro trecentesco con base e capitello (foto 12).


Termina qui la nostra visita a Palazzo civico, prima tappa di un viaggio alla scoperta di Bellinzona. Un viaggio che proseguirà in febbraio con una nuova meta: Piazza Nosetto e i suoi segreti.


Note
1. Bollettino storico della Svizzera Italiana, Stabilimento Tipo-Litografico già Colombi, anno 35, 1915, n° 1, p. 1-4.
2. Archivio di Stato, Bellinzona, Fondo Giuseppe Weith, scatola 7, camicia 2, interno 2.



Fonte:
Testo “Bellinzona e i suoi tesori” di Danilo Mazzarello, pubblicato sulla rivista Turrita.






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Chiesa di S.Biagio



Vi si conserva un'importante serie di affreschi tardomedievali dei sec. XIV-XV. Documentata nel 1237.


L'attuale edificio gotico incorpora elementi murari dell'originaria chiesa romanica ampliata probabilmente nel XlII sec.


Basilica di tipo lombardo a tre navate sorrette da pilastri e concluse da un coro quadrangolare e da due cappelle laterali.


Sul fianco N sorge il massiccio campanile sopraelevato nel XVI sec.


Navate coperte da soffitti lignei a travatura; coro e cappelle voltati a crociera.


Scavi archeologici e radicali lavori di restauro e ripristino di gusto medievale condotti da Edoardo Berta nel 1910-14; nel corso di questi lavori furono eliminati gli interventi dei sec. XVI-XIX fra cui le volte a crociera delle navate inserite verso il 1560-70. Nel 1932 fu demolito l'oratorio della Trinità eretto verso il 1580 lungo il lato N.


Affreschi: La facciata principale è ornata di dipinti murali, sesto decennio XIV sec. circa, appartenenti al ciclo principale attribuiti al Maestro di S. Biagio affine ai pittori giotteschi attivi in Lombardia dopo la metà del XIV sec. Nella lunetta del portale sono rappresentati la Madonna col Bambino fra i SS. Pietro e Biagio, sovrastati da Cristo benedicente e l'Annunciazione; a sin. del portale si erge un gigantesco S. Cristoforo. Restauro degli affreschi esterni concluso nel 2000.


Sull'arco trionfale si conservano i dipinti più antichi della chiesa, 1340 ca., raffiguranti l'Annunciazione sormontata dalla Madonna della Misericordia attribuiti al Maestro di S. Abbondio, uno dei protagonisti della pittura lombarda della prima metà del XIV sec. (v. Castel San Pietro, Chiesa di S. Pietro).


Nel coro: affreschi attribuiti al Maestro di S. Biagio, probabilmente realizzati già nella prima metà del XIV sec., con gli evangelisti sulla volta, la Crocifissione sulla parete terminale e frammenti della teoria degli apostoli di cui rimangono alcuni volti sulla parete sin.


La frammentaria decorazione pittorica della navata è più tarda e a carattere votivo.


Sulla parete S: un volto di S. Antonio Abate (?), S. Maria Maddalena e un santo francescano, parte di una serie di nove figure attribuite al Maestro di S. Biagio; segue una S. Caterina e un Crocifisso, fine XIV sec.


In controfacciata: un volto di S. Sebastiano e un Angelo con un edificio (S. Casa di Loreto?) attribuito alla bottega dei Seregnesi, seconda metà XV sec.; i SS. Lucio(?), Cosma e Damiano(?), 1400 ca.; i SS Leonardo (?), Lorenzo(?) e Apollonia, fine XIV-inizio XV sec, affiancati dalla coeva figura di Veronica; inoltre una Madonna col Bambino e i SS. Stefano, Giovanni Battista, S. Antonio Abate e S. Caterina, fine XIV sec.; S. Stefano con il committente presentato da un altro santo, fine XIV sec.; un santo cavaliere e una giovane donna, primo ventennio XV sec.; S. Antonio Abate e S Caterina, fine XIV-inizio XV sec.


Sulla parete N: Deposizione, XV sec., S. Antonio Abate, anni '70- '80 del XIV sec., e il Martirio di S. Lorenzo, fine XIV sec.


Sui due pilastri a S: S Agata, fine XIV sec., S Antonio Abate, terzo quarto XIV sec., e S. Bartolomeo attribuiti a Nicolao da Seregno, seconda metà XV sec. Il coro contiene un altare in pietra con un bassorilievo raffigurante Cristo tra gli apostoli, un tabernacolo e un crocifisso in bronzo, opere di Remo Rossi, 1947, e una statua lignea dorata e policroma di S. Biagio, XVIII sec.


Le cappelle laterali accolgono altari marmorei e statue lignee dorate e policrome di S. Nicola da Tolentino, metà XVII sec, e della Madonna del Carmine, XVIII sec.


In navata: pala dell'antico altare maggiore con la Madonna col Bambino tra i SS. Biagio e Gerolamo, di Domenico Pezzi, pittore di formazione lombarda, 1520; tela con la Crocifissione e la Trinità fra i SS. Francesco e Luigi (?), 1750; due tele con i SS. Sebastiano e Rocco soccorsi da un angelo, XVII sec., provenienti dall'oratorio di S. Girolamo a Prada.



Fonte:
autori diversi (2008, seconda edizione): Guida d'arte della Svizzera italiana, a cura della Società di storia dell'arte in Svizzera (SSAS), pp. 41-42, Edizioni Casagrande, 604 pagine





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Teatro sociale
[Breve storia del Teatro Sociale dal 1846 ad oggi



La nascita
Dopo animate discussioni la Società del Teatro, costituitasi nel 1846, decise di erigere il Sociale su un’area contigua al convento delle Orsoline (l’odierno Palazzo del Governo), che comprendeva una parte della strada che costeggiava le mura e una parte del fossato, che fu poi riempito con i detriti provenienti dall’abbattimento della Porta Locarno e della relativa murata medievale. Questo sottofondo poco compatto causò nel tempo degli assestamenti che fecero inclinare l’edificio su di un lato, come si può osservare ancora oggi.
Inaugurato il 26 dicembre 1847, il Teatro divenne ben presto il centro della vita culturale e mondana Bellinzonese.
Il possesso di un palco era un segno di distinzione sociale; particolare attenzione venne perciò riservata al rituale dell’estrazione a sorte dei palchi, previsto annualmente nella seconda domenica di dicembre allo scopo di assicurare un’equa rotazione dei palchi tra gli azionisti della Società.


L'abbandono
La gestione non sempre felice del Teatro, la programmazione poco omogenea e gli umori del pubblico furono le cause delle alterne fortune del Sociale fin dal secondo Ottocento. Ma il declino si accentuò gravemente con la progressiva e definitiva trasformazione in cinema negli anni cinquanta.
Nel 1967 il Teatro venne definitivamente chiuso. Da allora fu sempre più considerato una topaia da demolire senza esitazione e tutt’al più un nostalgico feticcio del bel tempo passato. Il degrado si appropriò anche del palcoscenico, compromettendo la struttura lignea degli apparati scenici. La fine di un mito?


La rinascita
L’opera di sensibilizzazione promossa dall’Associazione “amici del Teatro Sociale” e la successiva costituzione della “Fondazione Teatro Sociale” hanno creato le premesse per il salvataggio e il recupero del Teatro, oggi iscritto nei monumenti storici di importanza nazionale.
Dopo un’accurata indagine sulla storia e sullo stato dell’edificio, l’architetto Giancarlo Durisch ha progettato il restauro del Teatro.
Il cantiere è stato aperto nel 1993.I lavori diretti dallo studio dell’arch. Sennhauser hanno innanzitutto riguardato il consolidamento statico dell’edificio e la costruzione della nuova struttura portante del tetto. La demolizione del ristorante ha permesso di recuperare la bellezza della facciata che dà sul giardino di Piazza Governo. Al consolidamento della struttura lignea dei palchi è seguito il ripristino della scenografica decorazione in cartapesta, realizzata dall’artigiano veneziano Giorgio Clanetti.
Nel Teatro Sociale si sposano armonicamente tecnologia d’avanguardia ed eleganza ornamentale. La bellezza degli stucchi e delle tinte (curate dal restauratore Luigi Gianola) e lo sfavillio delle luci accolgono lo spettatore fin dal Foyer d’entrata, per poi avvolgerlo e conquistarlo definitivamente nella sala teatrale...
Al Teatro attori, musicisti e danzatori troveranno uno spazio accogliente e attrezzatissimo dal profilo scenotecnico. Dopo i tempi bui dell’abbandono, il Teatro Sociale conosce finalmente le luci dell’arte, dell’invenzione e della creatività, fondamenti dell’identità e cardini della civiltà di ogni comunità. Vi auguriamo delle piacevoli serate al Teatro Sociale di Bellinzona.


Testo di R. Reichlin
© 1997 Fondazione Teatro Sociale Bellinzona




Fonte:
http://www.teatrosociale.ch/teatro/breve-storia-del-teatro-sociale-dal-1846-ad-oggi, consultato 2.6.2020





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Castello di Sasso Corbaro



Circa 600 ma sudest della città, nel punto più alto del dosso roccioso su cui sono distribuite le fortificazioni di Bellinzona, sorge il fortilizio di Sasso Corbaro (detto anche castello d'Untervaldo dal 1506, castello di S. Barbara dal 1818).


Diversamente dalle altre opere di difesa, riunite dal Duecento al Quattrocento in un unico sistema integrato, questo castello si presenta come un complesso singolo, isolato su tutti i lati.


Stando a un'annotazione della metà del XV secolo, una torre fortificata doveva sorgere sul colle già verso il 1400; nella seconda parte del Quattrocento vari esperti milanesi suggerirono di rifortificare il sito, perché questo, lasciando un vuoto nel sistema difensivo di Bellinzona, poteva consentire a bande confederate di penetrare in territorio ducale.


I lavori cominciarono solo dopo il 1478; prima si costruì la robusta torre all'angolo nordorientale del futuro complesso, poi si passò alle altre parti.
Già nel 1479 una prima guarnigione ridotta poté acquartierarsi nel castello, non ancora terminato; a quanto sembra, i lavori proseguirono fin verso il 1481/82.


In tempi di pace il fortilizio fu adibito anche a carcere, ma non era affatto a prova di evasioni: un prigioniero, in effetti, riuscì
a fuggire nel 1494.


Danneggiato ripetutamente da fulmini nei secoli XVI e XVII, verso il 1900 Sasso Corbaro appariva un rudere in procinto di crollare. I lavori di consolidamento compiuti in questo secolo, benché in sé meritori, purtroppo hanno reso irriconoscibili cospicue testimonianze architettoniche; per una descrizione dello stato originario, perciò, dobbiamo rifarci alle osservazioni di J.R. Rahn (c. 1889).


La rocca principale forma un quadrato di circa 25 metri per lato, dai cui angoli nordorientale e sudoccidentale spuntano torri quadrate di altezza diversa.
La fortezza - i cui muri hanno spessore oscillante fra 1,8 metri a est (fronte d'attacco) e circa 1 metro altrove – era concepita per una difesa a tutto campo: su tutti i lati corre infatti un cammino di ronda con caditoie e merli ghibellini, presenti anche nella torre di vedetta dell'angolo sudoccidentale.


L'ingresso al cortile della rocca - sulla facciata ovest, rivolta verso valle - mostra ancora tracce di una saracinesca e di un dispositivo di sprangatura.
Il cortile, rettangolare, verso sud e verso ovest presenta un'ala abitativa, addossata al muro di cinta; a due piani, e un tempo coperta da un tetto a due falde che cominciava sotto il cammino di ronda, quest'ala era provvista di camini, latrine e una cucina.


Sul lato orientale, presso un pozzo a carrucola, si trova una cappellina (completamente in rovina ai tempi di Rahn, ma poi restaurata).


Il mastio possente all'angolo nordorientale, evidentemente eretto prima delle altre parti, oggi comprende quattro piani; anch'esso era sistemato in funzione abitativa, ma mancano indicazioni certe sulla sua altezza originale e sulla conformazione della parte superiore (tetto, merli, caditoie?).


A sud e a ovest del nucleo principale si trovano resti di cortili d'arme e di fabbricati minori, appartenenti a un'opera avanzata (rivellino) che forse è rimasta incompiuta.


Sul lato orientale, in teoria facile da attaccare perché piano, ci si aspetterebbe un fossato; di fatto, però, la roccia non è stata mai scavata.


Oggi Sasso Corbaro accoglie la secentesca «sala Emma Poglia» come pure diversi spazi espositivi e di incontro.
Le trasformazioni degli ambienti sono state dirette da Tita Carloni (1963/64) e da Paola Piffaretti (1998).
[…]



Fonte: Werner Meyer, I castelli di Bellinzona, pubblicato su Bellinzona informazioni 2002, Fontana Edizioni



Fonte:
Werner Meyer, I castelli di Bellinzona, pubblicato su Bellinzona 2002, curatore Enrico Tettamanti, Fontane Edizioni.



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Castello di Montebello



Il complesso imponente di Montebello (detto nel Tre e Quattrocento anche castello piccolo, nuovo o di mezzo, da l 1506 castel lo di Svitto, da l 18 18 caste llo di S. Martino) sorge su uno spuntone roccioso a est del nucleo urbano di Bellinzona.
Le sue origini risalgono al tardo XlII secolo; una prima menzione indiretta è del 1313. La rocca fu probabilmente innalzata dai Rusca, importante casato comasco, e da loro passò ai Visconti solo sullo scorcio del Trecento.


Dopo una prima fase di ampliamento (a metà del XIV secolo, presumibilmente nell'ambito dei lavori di collegamento tra rocca e fortificazioni cittadine), agli inizi del Quattrocento ci fu un periodo di degrado: come risulta da lagnanze di commissari milanesi, intorno al 1460 i fabbricati non soddisfacevano più alle esigenze tecnico-difensive della chiusa di Bellinzona, che si stava potenziando proprio allora. Ampliamenti successivi, fra il 1462 e il 1490, trasformarono la vecchia costruzione due-trecentesca nel complesso di fortificazioni che caratterizza il castello ancora oggi.


Caduto in abbandono nel XIX secolo, intorno al 1900 Montebello offriva un quadro di sfacelo ormai imminente; i lavori di consolidamento e completamento, compiuti a partire dal 1903, si leggono nelle file di laterizi che separano le parti nuove dei muri da quelle originarie.


L'accesso allo sperone su cui sorge il castello è relativamente agevole da tutti i lati, ma soprattutto da est; diversamente che al Castelgrande, quindi, per impedire al nemico di accostarsi fu necessario scavare profondi fossati.


La pianta del complesso si presenta come un rombo deformato, ai cui angoli ottusi si raccordano le mura delle fortificazioni cittadine, settentrionali e meridionali.


Lo stato edilizio attuale dichiara le tre fasi principali dello sviluppo di Montebello: il nucleo fortificato originario e le due linee di fortificazione costruite intorno ad essa rispettivamente nel Trecento e nel Quattrocento.


Risale all'epoca della fondazione (tardo XlII secolo) il complesso più interno: un recinto irregolare, leggermente oblungo, suddiviso internamente da più muri. Non è chiaro se gli edifici oggi esistenti su questo sedime corrispondano al progetto originario: finestre aperte nel muro di cinta, oggi rivolte verso uno dei due cortili interni, indicherebbero modifiche del piano architettonico. Non è escluso che la torre merlata con tetto a padiglione, nella parte nordorientale del nucleo, sia una ricostruzione scorretta, risalente ai restauri del 1903: le illustrazioni antiche (a partire dal Seicento) mostrano in questo punto solo un fabbricato di quattro piani, con tetto a falda unica verso l'interno.
Nel complesso la pianta del nucleo richiama un concetto architettonico che si incontra ripetutamente nelle vallate sudalpine:
un muro di cinta alto e robusto cui si addossano, verso l'interno, fabbricati abitativi e utilitari.
Rientra in questo schema l'ingresso al nucleo centrale, posto in alto sul lato occidentale e oggi raggiungibile con una scala esterna; l'antica funzione abitativa è sottolineata dai resti di latrine e focolari. Originario potrebbe essere, almeno per l’ubicazione, il pozzo nel cortile interno orientale.
Una cappellina dedicata a san Michele è addossata al corpo nuovo verso sud; eretta intorno al 1600, è fra i pochi fabbricati sorti nei castelli bellinzonesi durante la signoria dei tre cantoni primitivi.


Presumibilmente a metà del XIV secolo intorno alla rocca venne costruita una cinta di tracciato irregolare, distante 7-15 m dal complesso originario e coronata, direttamente a fil di muro, da merli ghibellini; ne appaiono resti sia nella cinta costruita in un secondo tempo (quattrocentesca), sia in un edificio minore a ovest del nucleo centrale.


Verso est il complesso castellano così ampliato è protetto da un fossato profondo, su cui è teso un ponte levatoio; la porta - un'apertura a tutto sesto nel tratto sudorientale della cerchia muraria – è ricavata in una torre quattrocentesca. Come mostrano parti più antiche nella cinta del XV secolo, già allora il pianoro esterno a est del fossato doveva essere compreso nelle fortificazioni.


Gli interventi massicci fra il 1462 e il 1490 interessarono soprattutto la periferia della rocca: sfruttando parte della cerchia trecentesca si eresse una nuova cinta più robusta, che in sostanza determina ancora oggi il profilo esterno del castello.


Nel terreno a est del fossato sorge un rivellino terminante ad angolo acuto, con porta esterna, fossato adiacente e cammino di ronda provvisto di caditoie.


Il fossato più antico è chiuso a nord da un parapetto, a sud da una torre ausiliaria pentagonale, aperta sul retro, da cui prende inizio il tratto di raccordo verso le mura cittadine meridionali.


Sul sedime della porta nella cinta trecentesca sorge una portatorre sporgente, avente funzione d'appoggio; i ponti levatoi delle due porte (esterna e interna) sono ricostruzioni moderne.


Agli angoli occidentale e settentrionale della cinta si ergono torri ausiliarie rotonde, aperte verso l'interno e prive di piattaforma; a quello nordorientale è addossata invece, sul lato interno, una costruzione con piattaforma, utilizzabile come postazione.


Una porta aperta nel tratto sud della cinta, dotata di una piombatoia, rispecchia la situazione originale quattrocentesca.


La cerchia muraria comprende varie latrine ad uso delle sentinelle; le feritoie e caditoie del muro e delle torri erano concepite per balestre, archibugi e bocche di piccolo calibro.


La terrazza a ovest di Montebello è delimitata, sul lato rivolto verso la città, da un muro merlato con torretta ausiliaria semicircolare.


Nel XV secolo Montebello era considerato, fra i castelli bellinzonesi, il più adatto alla difesa a tutto campo in caso di guerra.
Lo spazio libero entro la rocca principale e le opere fortificatorie avanzate potevano soddisfare l'esigenza improvvisa di ospitare truppe e materiale bellico.


Così come la murata, l'esempio di Montebello, con le sue parti di reimpiego, mostra chiaramente quanto il ducato di Milano intorno al 1480 si sforzasse di ridare efficacia difensiva alle opere di fortificazione bellinzonesi, prima trascurate.


Oggi il castello ospita il Museo civico con la collezione archeologica; i reperti in mostra, comprendenti vari pezzi unici importanti, provengono da necropoli preistoriche del Ticino.


La ristrutturazione degli ambienti interni a scopi espositivi, eseguita con materiali e criteri moderni dagli architetti M. Campi, F. Pessina e N. Piazzali, risale agli anni 1971-74.



Fonte:
Werner Meyer, I castelli di Bellinzona, pubblicato su Bellinzona 2002, curatore Enrico Tettamanti, Fontane Edizioni.






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Castelgrande



Il possente blocco roccioso di Castelgrande forma il centro naturale della chiusa di Bellinzona.
Fino al Duecento solo su questa altura di difficile accesso da ogni lato sorgevano fortificazioni; i testi che nel medioevo menzionano una rocca a Bellinzona si riferiscono quindi sempre al Castelgrande (detto anche castello vecchio dal XIV-XV secolo, castello d'Uri dal 1506, castello di S. Michele dal 1818).


Degli insediamenti più antichi (preistorici e romani) restano tracce archeologiche solo nel terreno; pochi anche i resti del medioevo avanzato (X-Xli secolo) nelle opere murarie oggi ancora in piedi.
I fabbricati non risalenti agli ultimi due secoli, eretti per lo più fra il 1250 circa e il 1500, sono testimoni di una storia edilizia molto movimentata, segnata non solo da ristrutturazioni, ampliamenti e opere di rinforzo, ma anche da danni bellici, periodi d'incuria e lavori di demolizione.


L'ampia sommità del colle è protetta verso nord da pareti rocciose quasi verticali; accessibile da sud su gradoni meno ripidi ma sempre con discreta difficoltà, si presenta come una spianata del diametro di 150-200 m, conformata a terrazze. La sua configurazione ha fatto sì che in ogni epoca le opere antropiche di difesa seguissero lo spigolo naturale dello sperone roccioso; la cinta tardomedievale ancora esistente, perciò, poggia in gran parte sulle stesse fondamenta delle mura romane.
Queste, rinvenute nell'ala sud in connessione con una porta durante le indagini archeologiche del 1967, erano costituite da pietre non squadrate.


Oggi la vasta superficie interna dà l'impressione di un grande spazio vuoto.
Molti edifici, infatti, furono eliminati già secoli addietro (senz'altro nel Quattrocento); i fabbricati ottocenteschi dell'arsenale, invece, vennero quasi tutti demoliti in questo secolo nel quadro dei lavori di restauro. Fonti scritte dei secoli Xl-XV e testimonianze archeologiche (resti di fondamenta) dimostrano che nel pieno del medioevo il Castelgrande, suddiviso in più parcelle, doveva contenere un numero di edifici ben più alto di quanto si possa immaginare ora; salvo quelli che non sono andati distrutti, tali edifici furono abbattuti nel X V secolo sotto i duchi di Milano.
Scopo dell'intervento si presume fosse quello di liberare la superficie interna, divisa in tre grandi cortili, per acquartierarvi temporaneamente forti contingenti militari in caso di bisogno. Sotto la signoria milanese, del resto, gli sforzi per migliorare l'assetto difensivo del complesso si concentrarono sulle parti periferiche: durante il Trecento e soprattutto il Quattrocento
si provvide in più fasi a sopraelevare e rinnovare la cinta muraria, aggiungendole cortili d'arme e torri ausiliarie; il tratto occidentale, inoltre, fu ristrutturato radicalmente con il raccordo alla murata.


Oggi il mezzo più semplice per salire al Castelgrande è l'ascensore, che dalla base della collina porta direttamente all'interno del complesso. Nel tardo medioevo vi si accedeva da meridione, varcando prima, a metà della salita, una porta nelle mura cittadine; superati dopo circa 100 m i cortili d'arme merlati a sud della cinta, si raggiungeva infine la porta principale del castello, aperta nel tratto sudorientale delle mura. Viuzze ripide permettono anche oggi di salire dalla città vecchia a questa porta; sopra l'ingresso definito da un arco a tutto sesto è rimasto un piccolo sporto provvisto di caditoie.


Fin dal XV secolo, come si è detto, l'interno del Castelgrande è diviso in tre grandi cortili tramite mura disposte radialmente a partire dalla Torre Nera. Questa torre quadrangolare, sita più o meno al centro del castello, stando a dati dendrocronologici fu eretta nel primo Trecento; potrebbe essere stata sopraelevata durante il Quattrocento.


Più a est sorge il complesso di edifici del ridotto, al cui centro spicca la costruzione più alta del Castelgrande:
la snella e quadrata Torre Bianca, probabilmente duecentesca. Il quadrilatero del ridotto che la circonda, da identificare col palazzo del vescovo di Como (attestato nel XlI secolo), dovrebbe contenere opere murarie del X-Xl secolo; purtroppo non esiste documentazione archeologica sui resti di muro scoperti al suo interno.


La periferia meridionale della rocca è delimitata da un complesso oblungo, addossato internamente al muro di cinta: la cosiddetta ala sud, eretta in più fasi (dal Duecento al Quattrocento) su fondamenta di edifici precedenti. Anche il muro di cinta rivela, in questo tratto, fasi di costruzione successive; si riconoscono ancora due file di merli ghibellini, l'una del XlII e l'altra del XV secolo. L'ala adiacente a ovest, angolata verso nord, è un arsenale ottocentesco ristrutturato con criteri moderni.


Scavi archeologici nel cortile meridionale hanno evidenziato non solo tracce abitative preistoriche, strati con reperti romani e un pozzo medievale, ma anche tombe a lastra del medioevo maturo, appartenenti al cimitero della scomparsa chiesa parrocchiale di S. Pietro. Di una cappellina dedicata a san Michele, posta fra la Torre Nera e la Torre Bianca, si conservano solo resti di fondamenta.


Un'altra chiesa in ruderi, forse dedicata alla Madonna, è ancora riconoscibile alla periferia del cortile occidentale; in questa parte della superficie interna non vi sono tracce visibili di altre costruzioni, tranne qualche elemento di una cerchia muraria precedente.


Come si deduce dalle parti conservate della cinta, anche nel cortile settentrionale dovevano esserci edifici. In questo tratto, a quanto sembra, l'esigenza di costruire un muro almeno a mo' di parapetto si fece sentire, data la difesa naturale costituita dalla roccia a strapiombo, non prima del Trecento o Quattrocento.


Il restauro integrale del complesso, reso possibile dalla generosa donazione di Mario della Valle e diretto dall'architetto Aurelio Galfetti negli anni 1982-92, è stato molto rispettoso del profilo acquisito dal Castelgrande nel corso dei secoli.


L'ala sud contiene ambienti museali che, sulla scorta di reperti archeologici, illustrano la storia edilizia del castello; vi si conservano inoltre i soffitti dipinti della Casa Ghiringhelli I antico Albergo della Cervia (c. 1470/80), mentre un locale è dedicato alla zecca di Bellinzona (XVI secolo).
ll corpo di fabbrica occidentale, raccordato ad angolo retto all'ala sud, venne edificato nel tardo Ottocento come arsenale; riattato interamente verso il 1990, è da allora adibito a ristorante.



Fonte:
Werner Meyer, I castelli di Bellinzona, pubblicato su Bellinzona 2002, curatore Enrico Tettamanti, Fontane Edizioni.






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Villa dei Cedri



L'edificio che ospita il Museo Villa dei Cedri, è una villa di origine almeno ottocentesca, frutto di diversi interventi di trasformazione susseguitisi nel tempo. Se inizialmente la casa di campagna presentava sobrie forme tardo neoclassiche, l'aspetto attuale è dovuto principalmente all'ampliamento progettato dall'architetto milanese Nelusco Mario Antoniazzi su commissione del banchiere Arrigo Stoffel, il quale acquistò la proprietà nel 1931.


La villa sorge a Ravecchia, villaggio situato sul declivio dei torrenti Dragonato e Guasta, a sud di Bellinzona, città alla quale fu aggregato nel 1907. Sul finire dell'Ottocento, Ravecchia era considerato "il più bel sobborgo di Bellinzona, ricco di vegetazione, di ville e con vista imprendibile sulla bassa valle del Ticino fino al Lago Maggiore" (Dizionario geografico svizzero, 1906). In questo luogo di residenza e villeggiatura si praticavano agricoltura, giardinaggio, allevamento di bestiame e si trovavano vaste piantagioni di alberi da frutto. Non sorprende dunque che questa zona amena sia stata scelta per edificare una villa suburbana, dimore solitamente frequentate dalla tarda primavera all'autunno, secondo l'uso diffuso tra le famiglie patrizie bellinzonesi, come lo erano i Bonzanigo, primi proprietari della villa finora noti. La dimora cambiò mano diverse volte: dal 1868 al 1905 fu proprietà della famiglia Farinelli, quindi passò ai Resinelli, che la vendettero nel 1926 a Enrico Guscio, e nel 1931 Arrigo Stoffel la acquistò dalla Banca popolare.


I passaggi di proprietà furono accompagnati da modifiche apportate alla villa e al parco. In particolare l'ampliamento e le trasformazioni degli anni '30 del XX secolo rispondono ai criteri di rappresentatività della borghesia, soddisfano le esigenze di piacere e riposo dei proprietari e instaurano uno stretto rapporto tra la villa e il parco, tra l'architettura e la natura, attraverso la costruzione di terrazze, una veranda, una loggia e la torre belvedere, vero e proprio status symbol dell'architettura residenziale del periodo, come dimostrano i numerosi esempi diffusi in Ticino. Tutti questi elementi consentono di ammirare il parco e il panorama circostante da diverse angolature e rompono la rigidità dell'edificio compatto di impronta tardo neoclassica in sintonia con la tendenza pittoresca alla scomposizione dei volumi, tipica delle ville eclettiche. L'estetica del pittoresco si ritrova nel giardino ridisegnato come parco paesaggistico, detto all'inglese, senza però rinunciare ai vantaggi pratici della coltivazione, che continua ad essere praticata: vigna, orto, frutteto e serre completavano il quadro di questa oasi verde.


All'interno, la villa presenta notevoli pavimenti a parquet, soffitti ornati di motivi ornamentali a stucco, camini (in parte rimossi) e pannelli con vedute fluviali e lacustri nell'atrio e sopra le porte, che obbediscono all'idea di ampliare gli orizzonti della villa stessa.


Dal 1978 la villa e il suo parco di alberi secolari sono di proprietà del Comune di Bellinzona e, dal 1985, sede della Civica galleria d'arte, oggi Museo Villa dei Cedri. Il cambiamento di destinazione ha comportato alcuni interventi che non hanno però modificato la struttura e lo stile dell'edificio, che conserva il suo carattere di dimora borghese.


La nascita del Museo civico Villa dei Cedri


Il progetto di dotare la città di un museo d'arte sembra essere maturato nel 1970. In quell'anno Emilio Sacchi, medico, e Adolfo Rossi, banchiere originario di Bellinzona attivo nella vicina Italia, donarono alla collettività le loro rispettive collezioni d'arte, costituite prevalentemente di dipinti databili tra il Seicento e il Novecento. La collezione Rossi fu presentata al pubblico una prima volta nel 1973 nel Palazzo comunale; le collezioni Rossi e Sacchi, primo nucleo del museo d'arte cittadino, furono esposte insieme nel 1977, sempre nei locali del Palazzo municipale. Dopo l'acquisto di Villa dei Cedri e l'istituzione della Civica galleria d'arte, si decise di dare un chiaro orientamento culturale alla giovane istituzione. La politica di acquisizione è incentrata sull'arte di area svizzera e italiana dalla seconda metà dell'Ottocento ad oggi, concentrandosi in particolare sugli artisti attivi nella regione, e privilegiando il recupero critico di figure originali e le creazioni su carta.
Dal 1991 l'Associazione Amici di Villa dei Cedri sostiene attivamente le attività del Museo, contribuendo in particolare al finanziamento dei progetti di ricerca legati all'attività espositiva e all'arricchimento delle collezioni. Nel 2009 l'Associazione si è trasformata in Fondazione Amici di Villa dei Cedri.



Fonte:
https://www.villacedri.ch/ (consultato 23.05.2020)





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Viale Stazione





Il Viale Stazione è la strada più animata di Bellinzona. Inizia alla stazione ferroviaria e sfocia sulla Piazza Collegiata, inizio del centro storico della Città.


È molto amata dai bellinzonesi. Su tutta la sua lunghezza è costeggiata da alberi.


A carnevale fa da scenografia agli spettacolari cortei mascherati del Rabadan, il famoso carnevale bellinzonese.





### Label Label_381D12D8_2D12_007F_41BF_1B4028BF8EF3.text = Foto: LaRegione 22,10.2020 Label_39FF428D_2CFE_00D6_41C0_3F19B661D1C2.text = Foto: http://jackonline.ch/ Label_454BF8BB_5331_A113_41C7_E1CDE30EBE03.text = Via Magoria Label_48E916EC_56F1_BDB8_41C7_F77D0E66EDF6.text = Passerella delle Semine Label_76C0478F_6190_2162_41D6_8F51EFBC94E1.text = Biblioteca e archivio cantonali ### Tooltip Button_1C6A48DF_06A8_50E2_4178_0BA2038DC003.toolTip = Mostra la panoramica iniziale Button_C374C3D4_E000_E780_41EB_AD01E7BA5CF4.toolTip = Mostra e nascondi le indicazioni mediante hotspots Button_C6DB0443_DE7D_70F4_41B2_5B861747AB85.toolTip = Mostra la panoramica iniziale Container_C3463EA5_E007_A183_41E2_CC634A0BEDCA.toolTip = Selettore delle immagini Container_DEDD31D6_D101_4071_41CE_E92552616653.toolTip = Mostra scheda descrittiva DropDown_C6BBCF32_CD62_C4A0_41E5_FF1986EE60A2.toolTip = Selettore scene IconButton_148985B1_0665_1DCB_4196_A007D247471A.toolTip = Play /Pause 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IconButton_C6102370_CD66_DCA0_4180_2E5B05135BB9.toolTip = Spostamento a destra IconButton_C6103370_CD66_DCA0_41E4_5F73B23E8C84.toolTip = Spostamento in basso IconButton_C6105370_CD66_DCA0_41E9_665F8749F4A7.toolTip = Zoom + IconButton_C6107370_CD66_DCA0_41C2_EE64034965EC.toolTip = Zoom - IconButton_C6111370_CD66_DCA0_41D5_E2534ADE0509.toolTip = Spostamento a sinistra IconButton_C6115370_CD66_DCA0_41C0_6E3C1B7CC491.toolTip = Spostamento in alto IconButton_C91ED83C_D3D7_7D10_41E9_1DF1294CBA2B.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CAA39ABC_D3D7_7D11_41DB_B147C6A14E50.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CAB29C81_D3D7_75F0_41D4_D03A44FB3E1F.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CAB2BF5F_D3D7_7310_41D6_1E7F9E4776F7.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CAB3D0A7_D3D7_6D3F_41D1_B32765B408B5.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CAB52DE8_D3D7_7731_41D9_A70FEE396D90.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CAE3C325_D3ED_B330_41E0_AD795C9A70B1.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_CBD0B3BC_D3ED_B310_41E0_B96C99021E13.toolTip = Aprire la panoramica \ in un'altra finesta \ ad alta risoluzione IconButton_D03926D9_C2D4_16E3_41D9_C905508BF24B.toolTip = Riprendi l'avanzamento automatico (Play) IconButton_D1661AC0_C2D4_FEE2_41E5_286E8B91BDAB.toolTip = Pausa IconButton_DF196F43_CB76_74ED_41D4_400CB31C8D95.toolTip = Spostamento a sinistra IconButton_DF5EF72F_CB77_B4B6_4172_75E4167A93BB.toolTip = Spostamento a sinistra ## Media ### Title panorama_B4141E57_D89D_E265_41E5_82BA9413BAF9.label = . Teatro sociale photo_C830FF90_D66C_97B7_41C7_E24BFD54977A.label = Bellinzona-SBiagio esterno 950 photo_C836C223_D66D_6899_41D5_41686C055958.label = Teatro-foto photo_CB895BB5_D66C_9FFE_41D0_10829D6246FB.label = Bellinzona Piazza Governo foto